Notizie Aggiornamenti e Novità
22/04/2024
Lo studio tratta, in prevalenza, il diritto amministrativo, in particolare l’edilizia-urbanistica, le espropriazioni per pubblica utilità ed i contratti pubblici.
Ma il mare è molto vasto: si va dai provvedimenti contro presunti stalker a quelli contro a tifosi violenti: dove c’è una amministrazione di mezzo li’ ci sono io.
Allo studio Ollari si rivolgono sia le amministrazioni sia i privati, in regione e fuori regione
Se si tratta di privati, spesso si discute di “permessi di costruire” o “titoli edilizi”, di contestazioni in materia di progetti per le opere pubbliche, oppure di decreti di esproprio.
I privati più strutturati chiedono consulenza su lottizzazioni o project financing.
In ogni caso alla base della questione c’è spesso una analisi di un diritto reale (proprietà, servitù o concessione).
Se amministrativo Vi sorprende
Lo studio Ollari cosi’ vi difende
22/04/2024
PREVENTIVARE E’ MEGLIO CHE CURARE
Il preventivo aiuta l’avvocato ed il cliente
Lo redigo lo stesso giorno del primo incontro, se il cliente potenziale ha mandato i dodumenti ed è chiaro cosa fare
In caso contrario lo invio via mail entro 48 ore dall’incontro
Il preventivo ha diversi punti: oltre all’importo chiesto quale compenso, indico cosa fare, perché e davanti a quale giudice.
Si indica l’obbiettivo ed il possibile termine in cui raggiungerlo.
Poi arrivano le dolenti note: le spiegazioni su privacy, il pagamento del contributo unificato (se si agisce in giudizio) e le possibili spese di lite da pagare in caso di soccombenza.
Risultato: chi scappa lo fa a ragion veduta: non era convinto, non aveva le idee chiare o le risorse economiche
Chi rimane è consapevole del viaggio da affrontare.
Se amministrativo ti sorprende lo studio Ollari ti difende… e sai quanto si spende !
22/04/2024
SANREMO E’ SANREMO
CON IL CODICE 02 ROBERTO OLLARI CANTA :
DIRITTO AMMINISTRATIVO – DIRIGE L’ORCHESTRA BEPPE VESSICCHIO
Di cosa si occupa il diritto amministrativo ? di tutto, anche di Sanremo
Il TAR Lazio ha giudicato legittima una sanzione da parte dell’ANTITRUST per pubblicità occulta a Sanremo 2023.
Ed allora userò i versi di illuminati sanremesi per spiegare il diritto amministrativo
Secondo Ghali è Casa mia
Anche se Fred de palma si lamenta che “ il cielo non ci vuole,
La rabbia non ti basta precisa Big Mama
Io sono d’accordo con il volo: Capolavoro
Sbaglia Angelina Mango: amministrativo
non è…. la Cumbia della noia !
Sinceramente !
quindi
Se amministrativo vuoi capire
Il festival di Sanremo devi sentire
Ma se l’ingiustizia ti sorprende
lo studio Ollari ti difende
16/04/2024
Pubblicato il 11/04/2024
N. 06976/2024 REG.PROV.COLL.
N. 03902/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3902 del 2017, proposto da
Immobiliare Lorenz S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Ciro Alessio Mauro, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Bruno Buozzi 87;
contro
Comune di Genzano di Roma, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Roberto Ollari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alfredo Placidi in Roma, via Barnaba Tortolini, n. 30;
Risarcimento danni derivanti da illegittimo diniego variante a permesso a costruire giusta sentenza del Consiglio di Stato n. 290 del 28.01.2016
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Genzano di Roma;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2024 il dott. Luigi Edoardo Fiorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato il 3 aprile 2017 e depositato il 2 maggio 2017, la società Immobiliare Lorenz ha agito per ottenere la condanna del Comune di Genzano di Roma al pagamento della somma di € 3.951.731,00 a titolo di risarcimento dei danni derivanti dal diniego a suo tempo opposto dal Comune resistente (in seguito annullato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 290/2016 del 28 gennaio 2016), sulla domanda in variante all’originaria concessione edilizia presentata dalla dante causa della società ricorrente.
2. Riferisce la società ricorrente di aver acquistato, in data 14 novembre 2007, un fondo sito nel Comune di Genzano di Roma e di essere così subentrata nel permesso di costruire n. 18/2005 del 20 aprile 2005 per la realizzazione di due fabbricati, aventi destinazione d’uso commerciale e una cubatura complessiva di mc 4.366,38.
2.1. Rappresenta, quindi, la ricorrente di avere presentato, in data 4 aprile 2008, domanda di variante del permesso di costruire de quo, al fine di trasformare parte della superficie dell’edificio B (avente originaria destinazione d’uso commerciale e terziario, come prevista dal permesso di costruire n. 18/2005) in superficie a destinazione parzialmente residenziale, sul presupposto che ciò sarebbe stato consentito da una variante del P.R.G. approvata con Delibera di Giunta Regionale n. 615 del 2005.
2.2. Il Comune ha denegato tale variante, con provvedimento comunicato all’odierna ricorrente in data 1° dicembre 2008, preceduto da un’ordinanza di ingiunzione di sospensione dei lavori.
2.2.1. Sul versante penalistico, invece, il fabbricato per il quale era stata chiesta la variante risulta essere stato sottoposto a sequestro con provvedimento del 23 ottobre 2008.
2.3. Il diniego di variante e l’ordinanza di sospensione sono stati impugnati innanzi a questo T.A.R., che con sentenza n. 8155/2013 ha rigettato il ricorso: detta sentenza è stata riformata dal Consiglio di Stato con la richiamata sentenza n. 290/2016.
2.3.1. Il sequestro, invece, è venuto meno a seguito del dissequestro disposto con la sentenza di assoluzione del Tribunale di Velletri n. 464/2012.
2.4. Poste queste premesse in fatto, con il gravame si chiede la condanna del Comune resistente a risarcire i danni tanto patrimoniali che non patrimoniali, che la ricorrente assume di aver subito per effetto della “paralisi” della sua attività determinata dal diniego di variante del permesso di costruire annullato dal Consiglio di Stato.
3. Il Comune di Genzano di Roma si è costituito in data 5 febbraio 2018, eccependo, preliminarmente, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno ex adverso richiesto, nonché la pendenza di un giudizio di revocazione avverso la sentenza n. 290/2016 (domanda di revocazione poi respinta con la sentenza n. 1418/2018) e concludendo, nel merito, per il rigetto del ricorso avversario.
4. All’udienza del 27 febbraio 2024, in vista della quale le parti hanno depositato memorie e documenti, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. L’eccezione di prescrizione dell’azione proposta da parte resistente è fondata.
6. Giova ricordare che l’azione di risarcimento del danno è soggetta alla disciplina di cui all’art. 30 comma 3 c.p.a. e quindi al termine decadenziale di 120 giorni dall’annullamento dell’atto, a far data dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2010, vale a dire dal 16 settembre 2010, mentre, anteriormente al 16 settembre 2010 – e quindi fino al 15 settembre 2010 – la disciplina era quella della prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2947 c.c. con decorrenza del termine dal momento di adozione dell’atto o meglio della conoscenza della lesione (cfr., in questo senso, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 27 luglio 2023, n. 7354).
6.1. Ebbene, nel caso in esame, deve escludersi che alla presente fattispecie si applichi il termine decadenziale di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a. giacché i provvedimenti da cui l’interessata fa discendere la domanda di risarcimento del danno sono stati emanati e comunicati anteriormente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (e segnatamente in data 21 novembre 2008 e 1° dicembre 2008, per quanto si ricava dall’intestazione del ricorso proposto a suo tempo innanzi al T.A.R. dall’odierna ricorrente, definito dalla sopra richiamata sentenza n. 8155/2013: cfr. doc. 10 di parte resistente).
6.2. Alla luce di tali argomenti, deve affermarsi che alla fattispecie in esame si applica il termine di prescrizione quinquennale, che ha iniziato a decorrere dal dicembre 2008, per terminare nel dicembre del 2013, e dunque circa quattro anni prima dell’instaurazione del presente giudizio.
6.3. Non induce a un diverso avviso la circostanza evidenziata dalla ricorrente nella memoria di replica, al fine di resistere all’eccezione in esame, secondo cui, costituendo il ritardo illegittimo dell’amministrazione nel provvedere sull’istanza del privato un illecito permanente che è cessato solo con l’adozione dell’atto, il termine di prescrizione della conseguente pretesa risarcitoria comincerebbe a decorrere solo dal momento della cessazione dell’illecito, come accaduto, nella specie, con la adozione della variante in esecuzione della pronuncia del Consiglio di Stato.
6.4. Va, a questo riguardo, condiviso l’orientamento secondo cui, anche con riguardo alle controversie insorte precedentemente all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, il superamento del principio della c.d. pregiudiziale amministrativa, con l’affermazione dell’autonomia, sul versante processuale, della domanda risarcitoria rispetto a quella impugnatoria, comporta che il termine di prescrizione deve farsi decorrere non dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che annulla l’atto lesivo (sentenza in esecuzione della quale, nella specie, è stato rilasciato il provvedimento ampliativo della sfera del privato), bensì dalla data del fatto illecito, coincidente con quella dell’adozione dell’atto illegittimo (nel caso in esame, il diniego sulla richiesta di permesso di costruire in variante): in quest’ottica, infatti, poiché l’annullamento dell’atto amministrativo lesivo non costituisce un requisito di ammissibilità della domanda risarcitoria, il dies a quo per l’esercizio del diritto deve essere individuato nel momento in cui, con l’adozione del ridetto atto lesivo, il danno si è effettivamente verificato (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019 n. 900).
6.5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, non è condivisibile l’assunto di parte ricorrente sopra riportato, perché, alla luce delle indicazioni provenienti dalla richiamata giurisprudenza, lo stesso risulta in contrasto con il disposto dell’art. 2935 c.c., a mente del quale la prescrizione del diritto inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere.
6.6. Né, peraltro, può ritenersi che il rilascio del permesso di costruire in variante da parte del Comune resistente in data 16 maggio 2019, possa avere avuto – come viceversa sostenuto dalla ricorrente – alcuna valenza confessoria, tenuto conto che è la stessa ricorrente a riconoscere che ciò è avvenuto in esecuzione della sopra richiamata sentenza n. 1418/2018 del Consiglio di Stato (cfr. p. 4 della memoria del 26 gennaio 2024).
7. Anche a voler condividere il diverso orientamento, espresso da alcune pronunce (cfr., ad esempio, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 20 gennaio 2020, n. 119, che richiama Cons. Stato, Sez. IV, 28 giugno 2018 n. 3977), secondo cui, in ipotesi come la presente, la pendenza del giudizio di annullamento dell’atto ha effetti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento, la domanda non risulta in ogni caso fondata nel merito.
7.1. Da un primo punto di vista, infatti, deve ritenersi che il Comune resistente ha provato di essere incorso in un errore scusabile (si richiama, a questo riguardo, il prevalente orientamento a tenore del quale, in sede di giudizio per il risarcimento del danno derivante da provvedimento amministrativo illegittimo, il privato danneggiato può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto quale indice presuntivo della colpa, restando a carico dell’amministrazione l’onere di dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, riscontrabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per la incertezza del quadro normativo di riferimento, ovvero per la complessità della situazione di fatto: cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1815), tenuto conto, per un verso, che la stessa sentenza del Consiglio di Stato n. 290/2016, nel riformare la pronuncia di segno contrario di questo T.A.R., ha compensato le spese tra le parti riscontrando “un’obiettiva incertezza delle qualificazioni normative degli interventi coinvolti” e, per l’altro verso, che la sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale di Velletri ha riscontrato il difetto dell’elemento soggettivo stante “il contesto di incertezza sulla disciplina urbanistica da applicare”.
7.2. Da un secondo punto di vista, la domanda di parte ricorrente risulta sprovvista di prova nel quantum.
7.2.1. A questo proposito, la perizia depositata da parte ricorrente sub doc. 13 si limita a riportare gli andamenti negativi della società ricorrente risultanti dalla documentazione contabile già depositata, replicando, in buona misura, il contenuto di alcuni passaggi del ricorso (p. 14 e 15) e della memoria del 24 gennaio 2024 (p. 13), ma senza chiarire in alcun modo il nesso eziologico che collegherebbe tali andamenti con la vicenda per cui è causa.
7.2.2. Ne deriva che non è possibile disporre la C.T.U. richiesta dalla ricorrente, in quanto la stessa assumerebbe un’inammissibile connotazione esplorativa, dovendosi a questo proposito richiamare l’orientamento secondo cui il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negato qualora la parte tenda con esso a supplire alla incompletezza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati: cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II Stralcio, 31 agosto 2023, n. 13494, richiamando Cass., ord. 7 giugno 2019, n. 15521.
8. In conclusione, per le ragioni che precedono, il ricorso va respinto.
9. Tenuto conto della complessità in fatto e in diritto della presente vicenda, che ha visto le parti contrapposte in numerosi giudizi, ritiene il Collegio che sussistano giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione, tra le stesse, delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Donatella Scala, Presidente
Vincenzo Sciascia, Referendario
Luigi Edoardo Fiorani, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luigi Edoardo Fiorani Donatella Scala
IL SEGRETARIO
12/03/2024
Abstract
I vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore: commento a Consiglio di Stato, sez. VI, 24 gennaio 2023, n. 759.
***
La pianificazione è un atto complesso, che incide sulla proprietà di migliaia di persone, anche se attuata in un comune di modeste dimensioni e con i nomi più vari che oggi assumono i PRG (PUG, PGT etc.) nelle varie Regioni.
Ciò premesso è difficile capire se un terreno destinato a funzioni pubbliche sia da espropriare oppure no. La questione è rilevante sia per il Comune (che deve programmare l’opera, prevederne i costi e dichiararne la pubblica utilità) sia per il privato, che vedrà vincolato il proprio terreno per un tempo limitato (per l’esproprio) o illimitato (se si tratta di una norma che non prevede la perdita di proprietà).
L’espropriazione si basa su tre fasi:
1. vincolo;
2. dichiarazione di P.U. (pubblica utilità);
3. decreto di esproprio ed indennizzo.
Con le prime due fasi (vincolo e P.U.) si radica il diritto ad espropriare.
La terza fase (decreto di esproprio ed indennizzo) riguarda il pagamento del prezzo dell’ablazione delle aree.
Ma queste fasi presuppongono che il vincolo di destinazione imposti dal piano regolatore sia espropriativo.
La sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI, 24 gennaio 2023, n. 759) ribadisce con chiarezza la differenza tra vincolo conformativo ed espropriativo.
Sul piano generale, i vincoli conformativi riguardano una generalità di beni, in funzione della destinazione assolta dall'intera zona in cui questi ricadono. Si tratta in sostanza di vincoli che riguardano i modi di godimento e utilizzazione del bene, non sono soggetti a decadenza e non danno diritto ad alcun indennizzo.
I vincoli espropriativi, invece, sono vincoli che incidono su beni determinati, in base alla localizzazione (lenticolare, secondo la Cassazione) di un'opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata. Si tratta quindi di vincoli preordinati alla successiva espropriazione e soggetti a decadenza quinquennale.
La Corte costituzionale, nella sentenza 20 maggio 1999 n. 179, ha precisato che una previsione urbanistica, per poter essere considerata conformativa e non (sostanzialmente) espropriativa, deve essere tale da poter essere attuata – in concreto ed effettivamente – dal privato proprietario dell’area. Del resto sono qualificati come di carattere meramente conformativo i vincoli di destinazione che siano realizzabili ad iniziativa privata, con un coordinamento pubblico, o mista pubblico-privata.
Non comportano necessariamente l'espropriazione o la realizzazione di interventi ad esclusiva iniziativa pubblica, interventi attuabili anche dal soggetto privato, a volte, sia pure mediante convenzione con il Comune, ma senza necessità della preventiva ablazione del bene.
In questa categoria (non espropriativa) possono ricadere parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cure e sanitarie. Da tale premessa la giurisprudenza ha ritenuto che “i vincoli di destinazione imposti dal piano regolatore per attrezzature e servizi realizzabili anche ad iniziativa privata o promiscua, in regime di economia di mercato, anche se accompagnati da strumenti di convenzionamento (ad es. parcheggi, impianti sportivi, mercati e strutture commerciali, edifici sanitari, zone artigianali, industriali o residenziali), sfuggono allo schema ablatorio, con le connesse garanzie costituzionali in termini di alternatività fra indennizzo e durata predefinita.
Se è vero, infatti, che la previsione dell'indennizzo è doverosa non soltanto per i vincoli preordinati all'ablazione del suolo, ma anche per quelli 'sostanzialmente espropriativi' (secondo la definizione di cui all'art. 39, comma 1, del precitato D.P.R. 327/2001), è anche vero che non possono essere annoverati in quest'ultima categoria, quei vincoli derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata in regime di economia di mercato (cfr., ex multis, Cons. St., IV, 28 febbraio 2005, n. 693; VI, 14 maggio 2000, n. 2934; Cass. Civ., I, 26 gennaio 2006, n. 1626 e 27 maggio 2005, n. 11322). Ciò, in quanto la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione, conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio, dell'attività edilizia realizzabile sul terreno. Questa categoria di vincoli, non avendo un contenuto sostanzialmente espropriativo, ma derivando dal riconoscimento delle caratteristiche intrinseche del bene, nell'ambito delle scelte di pianificazione generale, risulta determinata nell'esercizio della potestà conformativa propria dello strumento urbanistico generale, per cui ha validità a tempo indeterminato, come espressamente stabilito dall'articolo 11 della legge 1150/1942' (cfr., in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 2011 n. 5216, 22 giugno 2011 n. 3797 e 1 ottobre 2017 n. 5059).
In sintesi, i vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata.
Non può invece attribuirsi carattere ablatorio ai vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale, quali il vincolo di inedificabilità, c.d. “di rispetto”, a tutela di una strada esistente, a verde attrezzato, a parco, a zona agricola di pregio, in quanto tali ultime conformazioni non azzerano il contenuto del diritto di proprietà limitandosi a finalizzarlo a un interesse generale.
Solo nel caso in cui i vincoli degli strumenti urbanistici generali costituiscano vincoli espropriativi essi, ove non siano stati attuati, decadono dopo la decorrenza del termine quinquennale di cui all’art. 9 del d.p.r. n. 327 del 2001. Altrimenti, laddove si ravvisi un vincolo conformativo, esso non è sottoposto a una data finale di efficacia e non necessita di essere rideterminato.
Chiarita la natura del vincolo va ricordato che il Comune ha un forte potere discrezionale, che comporta limiti di impugnabilità di un piano urbanistico e quindi sui limiti della tutela delle aspettative edificatorie dei privati rispetto all’esercizio di poteri pianificatori ambientali e paesaggistici. In generale:
1. le scelte di pianificazione sono espressione di un’amplissima valutazione discrezionale, insindacabile nel merito, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità;
2. anche la destinazione data alle singole aree non necessita di apposita motivazione (c.d. polverizzazione della motivazione), oltre quella che si può evincere dai criteri generali, di ordine tecnico discrezionale, seguiti nell'impostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione allo strumento urbanistico generale, a meno che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni appaiano meritevoli di specifiche considerazioni;
3. con riferimento all’esercizio dei poteri pianificatori urbanistici, la tutela dell’affidamento è riservata ai seguenti casi eccezionali: a) superamento degli standard minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l’avvertenza che la motivazione ulteriore va riferita esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona; b) pregresse convenzioni edificatorie già stipulate; c) giudicati (di annullamento di dinieghi edilizi o di silenzio rifiuto su domande di rilascio di titoli edilizi), recanti il riconoscimento del diritto di edificare; d) modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo;
4. una posizione di vantaggio (derivante da una convenzione urbanistica o da un giudicato) può essere riconosciuta (e quindi essere oggetto della tutela da parte del giudice amministrativo) soltanto quando abbia ad oggetto interessi oppositivi e non invece quando si tratti di interessi pretensivi.
avv. Roberto Ollari
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