Studio Legale Ollari
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Notizia 29/04/2024

Rumore:l'amministrazione non puo' ignorare una segnalazione sull'inquinamento acustico





sentenza 27 aprile 2024 : esiste l’obbligo dell'amministrazione di provvedere su istanza di un cittadino per ottenere la adozione di provvedimenti finalizzati alla eliminazione di una situazione di inquinameneto acustico.

Pubblicato il 27/04/2024
N. 00342/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00152/2024 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 152 del 2024, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Sergio Deiana, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Comune di Carbonia, non costituito in giudizio;
nei confronti

-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per l'accertamento

dell’inadempimento all’obbligo di concludere il procedimento

a seguito dell'istanza avente ad oggetto “ESPOSTO PER INQUINAMENTO ACUSTICO” del 10.12.2023, notificata dal ricorrente al Comune resistente in data 10.12.2023;

per l’annullamento del silenzio serbato dall’Amministrazione sulla predetta istanza;

e per l’accertamento

dell’obbligo dell’Amministrazione di provvedere con l’adozione del provvedimento finale del procedimento di cui all'istanza surriportata entro un preciso termine;

con riserva di agire per il risarcimento del danno derivante dalla mancata adozione del provvedimento dovuto.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2024 il dott. Oscar Marongiu e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il ricorrente, residente nel Comune di Carbonia, con la propria famiglia, in un’unità immobiliare ubicata in -OMISSIS-, sopra un locale nel quale si svolge l’attività commerciale di ristorazione del sig. -OMISSIS-, espone di aver presentato al Comune alcuni esposti per inquinamento acustico derivante dal predetto locale, senza che il Comune abbia in alcun modo risposto né provveduto in merito.

1.1. In particolare, il ricorrente espone:

- di avere presentato un primo esposto alla Polizia locale in data 21.2.2023, lamentando un fattore di inquinamento acustico ambientale determinato dal locale in questione;

- di avere inviato un sollecito all’Amministrazione in data 22.8.2023, chiedendo “riscontro sugli accertamenti effettuati per quanto segnalato a suo tempo, considerato che i disagi segnalati, provocati dall’attività commerciale -OMISSIS- di -OMISSIS-, permangono”;

- di avere inoltrato al Comune un nuovo e più dettagliato esposto in data 10.12.2023.

Nel nuovo esposto l’interessato ha rappresentato al Comune quanto segue:

“dall’attività commerciale adibita a bar/caffetteria denominata -OMISSIS-, titolare ditta -OMISSIS-, Codice Fiscale -OMISSIS- ubicata in Carbonia, -OMISSIS-, situata sotto la civile abitazione di proprietà del sottoscritto nello stesso stabile/condominio, provengono costantemente rumori di varia natura, musica ad alto volume, schiamazzi e frequenti spettacoli di intrattenimento musicale sino a tarda notte, sia all’interno dei locali che all’esterno, in contrasto con quanto dichiarato nella DUAP dove il titolare di cui sopra, ha affermato di non effettuare diffusione di musica. Il tutto anche in contrasto con l’ordinanza del Sindaco n. 93 del 29/06/2023, in cui gli spettacoli con musica dal vivo all’aperto devono cessare il 15 settembre 2023. La suddetta situazione diventa insostenibile specialmente durante i fine settimana, tanto da costringere me e la mia famiglia a lasciare la propria abitazione e pernottare presso parenti o presso strutture ricettive, causando quindi gravi danni morali, di salute ed economici”.

Nell’occasione, il ricorrente ha precisato che “sono già state inviate due PEC al comando della Polizia Locale in data 21/02/2023 (prot. 11158) e 22/08/2023 (prot. 47589), per segnalare quanto sopra e non si è ricevuto riscontro alcuno”.

1.2. Aggiunge il ricorrente di avere informato dei fatti anche l’ARPAS che, in data 19.12.2023, ha comunicato al Comune la propria disponibilità “qualora intendesse avvalersi del supporto tecnico scientifico di ARPAS, in materia di controllo dell’inquinamento acustico ai sensi della Legge 447/1995 e ss mm ed ii.” (v. doc. n. 5 del ricorrente).

1.3. Il Comune, a distanza di oltre tre mesi dall’ultimo esposto, non ha adottato alcun provvedimento al riguardo, né ha fornito alcun riscontro.

1.4. Il ricorrente, quindi, con l’odierno ricorso agisce avverso il silenzio dell’Amministrazione ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., chiedendo anche l’adozione di misure cautelari in ragione delle conseguenze pregiudizievoli che possono derivare a suo danno dall’inquinamento acustico-ambientale, tenuto conto anche che l’interessato è affetto da “Depressione Maggiore” e da “Disturbo d’Ansia Generalizzato” entrambi “reattivi a situazioni ambientali” (v. certificato medico di cui al doc. 6 del ricorrente).

1.5. Nessuno si è costituito, né per il Comune intimato, né per il controinteressato.

1.6. Alla camera di consiglio del 17 aprile 2024 la causa è passata in decisione, previo avviso della possibilità di adottare una sentenza in forma semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a.

2. In via preliminare, osserva il Collegio che la specialità del rito del silenzio (di cui agli artt. 31, 117 e 87, commi 2 e 3, c.p.a.) non osta alla configurabilità in detto rito di una fase cautelare che deve ritenersi immanente all’azione ex artt. 31 e 117 c.p.a. per la salvaguardia delle esigenze di effettività della tutela giurisdizionale (T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 9.6.2023, n. 1424).

Invero, il rito attivato nel giudizio in materia di silenzio-inadempimento non esime il giudice amministrativo dal necessario esame della domanda proposta in sede cautelare alla stregua del principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dagli artt. 24 e 113 Cost. (Consiglio di Stato, Sez. VII, 5.7.2023, n. 2747).

Ciò chiarito, la causa può essere decisa con sentenza in forma semplificata ex art. 60 c.p.a., sussistendone tutti i presupposti.

3. Venendo al merito, il ricorso è fondato, per le ragioni che di seguito si espongono.

3.1. Per consolidata giurisprudenza, perché possa sussistere silenzio-inadempimento dell’Amministrazione non è sufficiente che questa, compulsata da un privato che presenta una istanza, non concluda il procedimento amministrativo entro il termine astrattamente previsto per il procedimento del genere evocato con l’istanza, ma è anche necessario che essa contravvenga ad un preciso obbligo di provvedere sulla istanza del privato. Orbene, tale obbligo sussiste, secondo la giurisprudenza, non solo nei casi previsti dalla legge, ma anche nelle ipotesi che discendono da principi generali, ovvero dalla peculiarità della fattispecie, e, ai sensi dell’art. 2 della l. n. 241 del 1990, allorché ragioni di giustizia e di equità ovvero rapporti esistenti tra Amministrazioni ed amministrati impongano l’adozione di un provvedimento e, quindi, tutte quelle volte in cui, in relazione al dovere di correttezza e di buona amministrazione della parte pubblica, sorga per il privato una legittima aspettativa a conoscere il contenuto e le ragioni delle determinazioni (qualunque esse siano) dell’Amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273; Sez. V, 3 giugno 2010, n. 3487), soprattutto al fine di consentire all’interessato di adire la giurisdizione per la tutela delle proprie ragioni (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1182 del 2015).

3.2. Nel caso di specie il ricorrente ha presentato (per la terza volta) l’esposto, al fine di sollecitare l’esercizio di specifici poteri e l’adozione di altrettanto specifici provvedimenti (in materia di inquinamento acustico), evidenziando così la propria posizione di interesse legittimo.

A fronte di tali iniziative, tuttavia, il Comune non risulta essersi minimamente attivato né con l’avvio di un’istruttoria né con l’adozione di alcun provvedimento, non avendo assunto alcuna determinazione finale in relazione all’esposto presentato.

3.3. Deve essere pertanto dichiarato l’obbligo del Comune di provvedere sull’esposto in questione, stante il decorso dei termini previsti per la conclusione del procedimento (30 giorni, ai sensi dell’art. 2, comma 2, della l. n. 241/1990).

3.4. In definitiva, il ricorso va accolto, con il conseguente obbligo per il Comune di adottare un provvedimento espresso e motivato (cfr. T.A.R. Campania – Salerno, n. 848/2022; T.A.R. Campania – Napoli, n. 6853/2021) nel termine di 30 giorni dalla notifica o comunicazione della presente sentenza.

3.4.1. Per il caso di inottemperanza alla presente sentenza nel predetto termine, il Collegio ritiene di nominare sin d’ora Commissario ad acta il Direttore generale dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Sardegna (ARPAS), o suo delegato, chiamato a intervenire - in caso, appunto, di inadempimento da parte del Comune alla scadenza del termine sopra indicato - entro quindici giorni successivi alla comunicazione di tale inadempimento, a cura della parte ricorrente.

Qualora il Commissario ad acta sia chiamato ad intervenire, secondo quanto sopra indicato, il relativo compenso per l’attività svolta può sin d’ora essere determinato nella misura complessiva di € 1.000,00 (euro mille).

3.4.2. La presente sentenza, in caso di passaggio in giudicato, sarà trasmessa in via telematica alla Corte dei Conti ai sensi dell’art. 2, comma 8, della l. n. 241/1990.

3.5. Le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e sono poste a carico del Comune, nella misura liquidata in dispositivo e con distrazione in favore del difensore del ricorrente, dichiaratosi antistatario; nulla deve disporsi, invece, nei confronti della parte controinteressata, non costituita.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi, nei termini e per gli effetti indicati in motivazione.

Condanna il Comune di Carbonia alla rifusione delle spese del giudizio, liquidandole complessivamente in € 2.000,00 (euro duemila/00), oltre accessori di legge, con distrazione in favore del difensore del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2024 con l'intervento dei magistrati:

Marco Buricelli, Presidente

Oscar Marongiu, Consigliere, Estensore

Gabriele Serra, Primo Referendario



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Oscar Marongiu Marco Buricelli





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.




Notizia 24/04/2024

garage che diventa abitazione






Se le opere realizzate al piano interrato determinano un cambio di destinazione d'uso urbanisticamente rilevante

1) Se il garage viene trasformato in magazzino o deposito, rimanendo quindi spazio accessorio, senza permanenza di persone, la trasformazione l'abuso è meno grave
2) se il garage viene trasformato in vano destinato alla residenza, anche a tralasciare i profili igienico-sanitari di abitabilità, si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l'originario permesso di costruire.

Pubblicato il 31/01/2024
N. 00954/2024REG.PROV.COLL.

N. 10526/2019 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10526 del 2019, proposto da Enrico Arcangeli, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Morri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

il Comune di Misano Adriatico, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
Paola Arrobbio, non costituita in giudizio;
per la riforma

- della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Bologna, sezione prima, n. 00374/2019, depositata il 27 aprile 2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 15 dicembre 2023 il consigliere Marina Perrelli e viste le conclusioni di parte appellante come in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’appellante Enrico Arcangeli ha chiesto la riforma della sentenza n. 374, pubblicata il 27 aprile 2019, con la quale il T.a.r. per l’Emilia – Romagna, sede di Bologna, sezione I, ha respinto il ricorso R.g. n. 201/2012 proposto avverso l’ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Misano Adriatico con atto n. 338 del 29 novembre 2011.

L’appellante ha esposto che:

- l’immobile oggetto di controversia è un fabbricato ad uso abitativo sito in Misano Adriatico, via Bruscheto 32, catastalmente identificato al foglio 4, mappale 368, legittimato con concessione in sanatoria n. 324-1394 rilasciata il 15 aprile 1988, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47/1985, successivamente risanato e consolidato con concessione edilizia n. 2997 del 6 marzo 1990 e ampliato con concessione in sanatoria n. 320-530 rilasciata il 13 giugno 2000, ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994;

- a seguito di sopralluogo del 27 luglio 2011 è stata accertata l’esecuzione di opere non autorizzate con il condono di cui alla legge n. 724/1994 e, segnatamente: a) al piano seminterrato in difformità da quanto legittimato il vano scala era stato utilizzato per ricavarvi un altro servizio igienico, la rampa di accesso era stata realizzata sull’altro lato dell’edificio con apertura di una finestra a fianco della porta d’ingresso e entrambi i locali, divisi da una parete posta in sede diversa da quella autorizzata, avevano la destinazione a tavernetta, originariamente prevista solo per uno, dovendo essere adibito l’altro a garage; b) al piano terra e all’esterno era stata accentuata la sporgenza del porticato mediante il prolungamento della tettoia di copertura, era stato realizzato un porticato anche sul lato opposto rispetto al fronte dell’edificio, posto a copertura della scala di accesso al piano seminterrato e chiuso con delle vetrate, il corpo di fabbrica era stato ampliato sul retro mediante un corridoio, a copertura lignea, che lo collegava a due moduli edilizi, utilizzabili, l’uno come garage, e l’altro senza una destinazione in atto, nonché sull’area circostante erano state edificate due tettoie in corpi staccati ad uso di deposito di legna e di riparo per autovetture;

- l’amministrazione comunale ha qualificato le opere realizzate al piano seminterrato come interventi di ristrutturazione edilizia, sanzionabili ai sensi degli artt. 14, comma 1, della L.R. n. 23/2004 e 33, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, e quelle realizzate al piano terra e sull’area scoperta, come interventi di nuova costruzione in ampliamento, sanzionabili ai sensi degli artt. 13, comma 1, della L.R. n. 23/2004 e 31, comma 1, del d.p.R. n. 380/2001;

- con ordinanza n. 338 del 29 novembre 2011 è stata ingiunta la demolizione delle predette opere;

- la sig.ra Paola Arrobbio, in qualità di proprietaria dell’immobile, è la destinataria dell’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado;

- nelle more del giudizio dinnanzi al T.a.r. la sig.ra Arrobbio ha esercitato davanti al Tribunale di Rimini un’azione civile per la declaratoria della nullità del contratto con il quale aveva acquistato l’immobile dall’odierno appellante, precedente proprietario e asserito committente delle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione;

- il Tribunale di Rimini, con la sentenza n. 100 dell’1 febbraio 2019, ha accolto la domanda, dichiarando la nullità del contratto di compravendita e condannando la sig.ra Arrobbio alla restituzione dell’immobile al sig. Arcangeli;

- con la sentenza appellata il giudice di primo grado ha respinto il ricorso.

1.3. Tanto premesso in fatto anche ai fini della legittimazione all’appello, il sig. Arcangeli chiede la riforma della sentenza appellata perché:

1) avrebbe erroneamente ritenuto che il mutamento di destinazione d’uso della cantina a tavernetta, con i connessi impianti e l’aggiunta di un bagno, consentirebbe la qualificazione delle opere nel seminterrato come ristrutturazione edilizia, senza considerare che già il condono del 1994 aveva assentito la destinazione di uno dei due locali a tavernetta e che il mutamento non avrebbe riguardato l’edificio nella sua interezza, trasformandolo da abitativo a produttivo o a direzionale o viceversa, né avrebbe consentito l’utilizzazione di una sua parte per una differente destinazione;

2) avrebbe erroneamente ritenuto non applicabile alle opere realizzate al piano terra dell’edificio, in ampliamento del corpo di fabbrica, la sanzione pecuniaria in sostituzione della demolizione sull’erroneo presupposto della realizzazione delle dette opere in assenza piuttosto che in difformità dal titolo edilizio e della mancanza di un accertamento tecnico che ne constati l’incidenza sulla stabilità delle opere legittimate;

3) avrebbe erroneamente valorizzato la mancata richiesta di una sanatoria delle opere realizzate, correlata all’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato dell’insanabilità delle stesse, e non avrebbe valutato la disapplicazione del Regolamento edilizio che illegittimamente nega il beneficio dell’ampliamento ai fabbricati sui quali siano state eseguite opere condonate.

2. Il Comune di Misano Adriatico e la sig.ra Paola Arrobbio, benché ritualmente citati, non si sono costituiti in giudizio.

3. All’udienza del 15 dicembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4. L’appello non è fondato e va respinto.

5. Il Collegio premette che l’odierno appellante, attuale proprietario dell’immobile in controversia a seguito della sentenza del Tribunale di Rimini n. 100 dell’1 febbraio 2019, è legittimato ad impugnare la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso proposto dalla sig.ra Arrobbio, in qualità di proprietaria e destinataria dell’ordine di demolizione.

6. Dalla lettura dell’atto di appello si evince che non vi è contestazione in merito alla effettiva realizzazione delle opere analiticamente descritte nel verbale prot. n. 73/URB del 27 luglio 2011, posto a fondamento dell’ordinanza di demolizione e di ripristino n. 338 del 29 novembre 2011, quanto piuttosto sulla loro qualificazione come ristrutturazione edilizia, anziché come manutenzione con le correlate differenze che ne conseguono sotto il profilo sanzionatorio.

7. Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso affermando che “per poter classificare un intervento edilizio come manutenzione straordinaria, non vi deve essere modificazione della destinazione d’uso, mentre nel caso di specie essa è avvenuta perché da uso cantina si è passati ad una vera e propria tavernetta cioè un locale con cucina, arredi ed impianti con un nuovo W.C. più funzionale ad uso abitativo del precedente. Si deve parlare, invece, di ristrutturazione edilizia cioè “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente” in assenza di titolo abilitativo come si ricava agevolmente dalla visione delle foto inserite nella relazione comunale”.

8. Il Collegio ritiene che la sentenza sia esente dai vizi lamentati con il primo motivo di appello.

8.1. Al riguardo il Collegio non può che richiamare, quanto affermato dalla recente e costante giurisprudenza del Consiglio di Stato e di questa stessa sezione, con riguardo a casi analoghi a quello in esame, aventi ad oggetto l’accertato mutamento di destinazione d’uso di locali, previsti in progetto quale garage, mediante la creazione di nuovi volumi residenziali, non meramente accessori o tecnici.

Secondo il predetto orientamento, premesso che gli standard urbanistici hanno una “funzione di equilibrio dell’assetto territoriale e di salvaguardia dell’ambiente e della qualità di vita” (Cons. Stato, sez. II, n. 9614 del 2022; Cons. Stato, sez. IV, n. 4068 del 2019), “la destinazione del piano in questione (interrato, ma analogo discorso vale per il sottotetto) ad abitazione ha determinato un incremento delle volumetrie e delle superfici ‘utili’ – ossia utilmente fruibili – con conseguente aggravio del carico urbanistico, secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 1 lett. a) D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale costituisce ‘variazione essenziale’ ogni ‘mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968” (Cons. Stato, sez. II, n.6085 del 2023).

Pertanto, nell’ambito di una unità immobiliare ad uso residenziale, devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi “accessori” che non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all’atto del rilascio del permesso di costruire; autorimesse, cantine e locali di servizio rientrano in questa categoria.

Da ciò consegue che non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un garage in un locale abitabile; a differenza dell’ipotesi in cui il garage venga trasformato - con o senza opere- in magazzino o deposito, rimanendo quindi spazio accessorio, senza permanenza di persone, “la trasformazione in vano destinato alla residenza, anche a tralasciare i profili igienico-sanitari di abitabilità, si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire” (Cons. Stato, sez. VII, n. 835 del 2023).

8.2. Facendo applicazione dei predetti principi al caso di specie è, quindi, evidente che le opere realizzate al piano interrato determinano un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante con le correlate conseguenze in termini di qualificazione dell’intervento e delle connesse conseguenze sanzionatorie.

9. Sono infondati e da disattendere anche gli ulteriori due motivi di appello.

9.1. Con riguardo alla dedotta mancata valutazione da parte dell’amministrazione della sanabilità delle opere il Collegio rileva che secondo la costante giurisprudenza la conformità urbanistica delle opere deve essere oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione comunale solo nell’ipotesi in cui il privato abbia presentato un’istanza di accertamento di conformità.

E, infatti, “in presenza di abusi edilizi, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 e tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31, del medesimo d.P.R. n. 380 cit., che obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36 che rimette all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica”(Cons. Stato, sez. VI, 17 novembre 2023, n. 9866; Cons. Stato, sez.VI 20 luglio 2021, n. 5457).

9.2. Nel caso di specie è pacifico che la ricorrente in primo grado non abbia presentato alcuna domanda per sanare le opere abusivamente realizzate e che non vi era alcun obbligo dell’amministrazione di valutarne la sanabilità prima di adottare il provvedimento sanzionatorio.

9.3. Con riguardo alla dedotta omessa valutazione della sostituibilità della sanzione demolitoria con quella pecuniaria il Collegio, premessa per le ragioni esposte in relazione ai precedenti motivi la sanzionabilità delle opere abusivamente realizzate con la demolizione, evidenzia che l'applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall'amministrazione solo nella fase esecutiva dell'ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire, con la conseguenza che la mancata valutazione di tale eventualità non può costituire un vizio dell'ordine di demolizione, come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado (Cons. Stato, sez. VI, 14 luglio 2023, n. 6894).

10. Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto.

11. Nulla va disposto in relazione alle spese in considerazione della mancata costituzione dell’amministrazione resistente e della sig.ra Arrobbio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2023, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere, Estensore

Ofelia Fratamico, Consigliere



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marina Perrelli Marco Lipari





IL SEGRETARIO






Notizia 24/04/2024

esclusione dalla gara anche senza sentenza penale definitiva






Si tratta di una esclusione da una gara a seguito della valutazione della propria affidabilità ritenuta gravemente compromessa da quanto appreso dalla stazione appaltante in merito ad un procedimento penale non ancora concluso.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il provvedimento di esclusione poichè l’illecito professionale è uno strumento di anticipazione della tutela della posizione contrattuale della committente pubblica rispetto ai possibili rischi di inaffidabilità dell’operatore. Esso opera a prescindere da un eventuale accertamento definitivo in sede penale, che può anche non sussistere.

Pubblicato il 28/03/2024
N. 02931/2024REG.PROV.COLL.

N. 05392/2023 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5392 del 2023, proposto dalla società -OMISSIS- s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Russo e Denis Scarmozzino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L. Napolitano, in Roma, via Girolamo da Carpi 6;
contro

la società -OMISSIS- s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Marcello Russo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti

della società -OMISSIS-s.r.l. (nella qualità di mandataria del costituendo R.T.I.) e della società -OMISSIS- s.p.a. (nella qualità di mandante), in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall'avvocato Domenico Vitale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione terza) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società -OMISSIS-e delle società -OMISSIS-s.r.l. e -OMISSIS- s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2024 la consigliera Silvia Martino;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellante impugnava innanzi al T.a.r. per la Campania il provvedimento in data 21 marzo 2023 prot.n.4549/2023 con cui la società -OMISSIS- s.p.a., in qualità di stazione appaltante, aveva disposto la revoca della proposta di aggiudicazione e l’esclusione della società ricorrente dalla gara indetta per l’affidamento del servizio di movimentazione interna, prelievo, trasporto e smaltimento finale dei rifiuti fanghi, vaglio e sabbie, classificabili come speciali non pericolosi ai sensi dell’art. 184 del d.lgs. n. 152/2006, prodotti dall’impianto di depurazione di -OMISSIS- e dall’impianto di grigliatura di -OMISSIS-.

1.1. L’esclusione della società, con la conseguente revoca della proposta di aggiudicazione, è stata determinata dalla valutazione in merito all’affidabilità dell’operatore economico ritenuta gravemente compromessa da quanto appreso relativamente al procedimento penale n.r.g. 21386/2021 del Tribunale di Napoli, avente ad oggetto condotte poste in essere da pubblici ufficiali e imprenditori finalizzate alla turbativa d’asta di procedure di gara indette dalla stessa stazione appaltante, -OMISSIS- s.p.a.

1.2. Il ricorso di primo grado veniva affidato a tre mezzi di gravame (estesi da pag. 2 a pag. 10).

1.3. L’impugnativa veniva poi estesa alla determina in data 5 aprile 2023, n. 39, di aggiudicazione del servizio al RTI con capogruppo -OMISSIS-s.r.l., censurata per invalidità derivata.

1.4. Il T.a.r., con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa;

- ha respinto il ricorso principale;

- ha dichiarato improcedibili i motivi aggiunti per carenza di interesse;

- ha condannato la ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

2. L’appello della società ricorrente, rimasta soccombente, è affidato ai motivi che vengono di seguito sintetizzati.

I. La -OMISSIS- ha escluso l’odierna appellante, già individuata quale aggiudicataria della gara, in ragione «della manifesta omissione dichiarativa […] e della gravità dei reati contestati dall’A.G.».

L’omissione dichiarativa alla quale si riferisce la stazione appaltante era emersa in data 21 febbraio 2023, allorquando “era stato notificato alla -OMISSIS-s.p.a. il decreto di perquisizione locale e personale […]” ed era risultato che “nel citato provvedimento emesso dall’Autorità Giudiziaria, veniva formalizzato il coinvolgimento diretto -OMISSIS- in gravi ipotesi di reato”.

In pratica, la stazione appaltante contestava alla società di non aver segnalato di essere stata destinataria del decreto di perquisizione e che dai fatti in essa riportati risultava il coinvolgimento del legale rappresentante della società in un “contesto delittuoso” caratterizzato dalla “gravità dei reati contestati”.

L’appellante ritiene che nel provvedimento di esclusione mancherebbe del tutto l’accertamento che l’omissione dichiarativa rilevata sia stata in grado di incidere sul corretto svolgimento della procedura di selezione.

In esso, al contrario, si metterebbe in luce soprattutto il fatto che l’indagine ha coinvolto altri imprenditori, due rappresentanti della stazione appaltante ed un esponente politico.

Tra l’omissione informativa e l’informazione fuorviante o addirittura falsa, vi è una ontologica differenza già risultante dall’art. 80, comma 5, lett. c-bis del d.lgs. n. 50/2016 ed oggi rimarcata dall’art. 98, commi 3 e 5, del d.lgs. n. 36/2023.

In ogni caso, la valutazione della rilevanza dell’omissione informativa compete alla stazione appaltante e non al giudice, come chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

L’appellante soggiunge che, nel caso in esame, il decreto di perquisizione era stato contestualmente notificato anche alla stessa stazione appaltante e che la notifica alla società è avvenuta appena due giorni prima dell’apertura delle offerte.

Né l’omissione potrebbe ritenersi sussistente per il solo fatto che l’appellante abbia ricevuto la comunicazione della richiesta di proroga delle indagini ad ottobre del 2022, poiché lo stesso RUP, nel provvedimento impugnato, avrebbe specificato che la rilevanza dell’omissione informativa è stata valutata con riferimento al decreto di perquisizione ed alla descrizione, in essa riportata per la prima volta, dei fatti dai quali emergevano le condotte addebitate agli indagati.

II. La -OMISSIS- ha escluso l’appellante per il coinvolgimento del suo legale rappresentante in un “contesto delittuoso” caratterizzato dalla “gravità dei reati contestati” in un “un quadro di sistematico e diffuso di illegalità che, lungi da riferirsi ad una mera dazione di danaro elusiva delle disposizioni sul finanziamento alla politica, avrebbe visto indifferentemente coinvolti operatori economici e management aziendale pregresso, in uno a candidati a funzioni di rappresentanza nelle Istituzioni, in una logica di vasto respiro che stride con i principi di integrità che animano l’approccio della -OMISSIS-s.p.a. al mercato delle pubbliche commesse”.

Il fatto per cui il legale rappresentate della società è imputato riguarda però specificamente ed esclusivamente un’ipotesi di finanziamento illecito ai partiti politici.

Tale circostanza non sarebbe stata ritenuta in sé rilevante dalla -OMISSIS- che avrebbe dato invece peso al fatto che egli fosse indagato insieme ad altri ai quali erano invece contestati gravi reati.

III. La sentenza fa altresì riferimento alla circostanza che sia nel decreto di perquisizione che nell’ordinanza cautelare 37/2023 del 21 marzo 2023, venga descritto un quadro complessivo di irregolarità che ha investito, a più riprese, anche la ricorrente.

La società ha tuttavia potuto accertare che le uniche fonti di prova della presunta responsabilità penale del proprio legale rappresentante sarebbero costituite dagli interrogatori dell’amministratore della -OMISSIS- all’epoca dei fatti contestati e del direttore, sempre dell’epoca, dell’impianto di depurazione.

Da tali verbali risulterebbe però il coinvolgimento di un unico operatore, diverso dalla ricorrente.

La stazione appaltante non ha nemmeno tenuto conto del tempo trascorso dai fatti oggetto di contestazione - risalenti al 2017 e quindi ben oltre il triennio dalla indizione della gara – nonché della inesistenza di recidive o pregresse contestazioni di non affidabilità dell’appellante.

3. Si sono costituite, per resistere, le società controinteressate.

4. Si è costituita, per resistere, la società -OMISSIS-.

5. Con ordinanza n. 2846 del 10 luglio 2023, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare.

6. La società -OMISSIS- ha depositato una memoria conclusionale.

7. La società -OMISSIS- ha depositato una memoria di replica.

8. L’appello è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza dell’1 febbraio 2024.

9. L’appello è infondato e deve essere respinto.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

10. Giova anzitutto ricordare che la violazione degli obblighi informativi discendenti dall’art. 80, comma 5, lett. c e c-bis, d.lgs. n. 50 del 2016 (ratione temporis applicabile alla fattispecie), in tanto può comportare l’esclusione del concorrente reticente in quanto essa sia stata valutata dalla stazione appaltante in termini di incidenza sulla permanenza dei requisiti di integrità ed affidabilità del concorrente stesso.

L’esclusione non è automatica ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale della stazione appaltante, la quale potrà adottare la misura espulsiva una volta appurato, indipendentemente dalle modalità di acquisizione dei relativi elementi di fatto, che l’omissione dichiarativa abbia intaccato l’attendibilità professionale dell’operatore economico, minando la relazione di fiducia venutasi a creare a seguito della partecipazione alla gara.

10.1. In materia, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con la sentenza n. 16 del 28 agosto 2020, ha stabilito i seguenti principi di diritto:

- la falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all'adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l'ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

- in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo;

- alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell'operatore economico;

- la lettera f-bis) dell'art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.

10.2. Per quanto qui interessa, l’Adunanza plenaria ha argomentato che “elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa [...] con quella relativa alle informazioni false o fuorvianti suscettibili di incidere sulle decisioni dell'amministrazione concernenti l’ammissione, la selezione o l’aggiudicazione, è dato dal fatto che in nessuna di queste fattispecie si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di cui alla lettera f-bis). Infatti, tanto “il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione”, quanto “l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione” sono considerati dalla lettera c) quali “gravi illeciti professionali” in grado di incidere sull' “integrità o affidabilità” dell'operatore economico. È pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante, come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c) [ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto delle modifiche da ultimo introdotte dalla legge decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 - Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici; convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55]. [...] Nel contesto di questa valutazione l’amministrazione dovrà pertanto stabilire se l'informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità”.

10.2. Relativamente al giudizio svolto dalla stazione appaltante, la richiamata decisione ha poi sottolineato che operano “i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale in cui l'amministrazione sola è chiamata a fissare 'il punto di rottura dell'affidamento nel pregresso e/o futuro contraente' [Cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del 17 febbraio 2012, n. 2312, che ha annullato per eccesso di potere giurisdizionale una sentenza di questo Consiglio di Stato che aveva a sua volta ritenuto illegittimo il giudizio di affidabilità professionale espresso dall'amministrazione in relazione all'allora vigente art. 38, comma 1, lett. f), dell'abrogato codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163]; limiti che non escludono in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma che impongono al giudice una valutazione della correttezza dell'esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all'attendibilità della scelta effettuata dall'amministrazione” ( par. 15).

11. Ciò posto, nel caso in esame, reputa il Collegio che alcun “deficit” motivazionale sia ravvisabile nel provvedimento espulsivo impugnato in primo grado.

A differenza di quanto preteso dall’appellante, è infatti proprio la rilevanza del “contesto” nel quale l’omissione informativa è maturata – debitamente valorizzato dall’Amministrazione - a giustificare la decisione di esclusione che non si appalesa quindi né arbitraria né illogica.

11.1. Al riguardo, giova richiamare gli snodi essenziali della determina di esclusione, peraltro puntualmente riportati ed analizzati nella sentenza oggetto di gravame.

11.1.1. In primo luogo, la società appellante era a conoscenza del procedimento penale a carico del proprio legale rappresentante quantomeno dal 22 ottobre 2022, data che precede ampiamente il termine ultimo di presentazione delle offerte (11 febbraio 2023).

11.1.2. Pur volendo sorvolare sulla non perspicua risposta fornita il 9 marzo 2023 (in sede di contraddittorio procedimentale) che ha reso necessario un supplemento di istruttoria “e anche a voler offrire piena comprensione alla circostanza che fino alla data del 21 febbraio 2023” la società “non avesse avuto occasione di comprendere quale fattispecie specifica di reato fosse stata contestata al proprio legale rappresentante appare evidente che l'arco ricompreso tra la data di notifica della proroga delle indagini (22.10.2022) e il termine ultimo di ricevimento delle offerte di gara (11.2.2023) costituisce un congruo ordine temporale per avere contezza se non altro della tipologia penale in rilievo, dell'A.G. procedente e del numero del procedimento penale”.

11.1.3. Dall’analisi del contenuto del decreto di perquisizione notificato il 21 febbraio 2023 emerge altresì come il legale rappresentante della società avesse già designato il proprio avvocato di fiducia e potesse, pertanto, avere piena contezza dei reati contestati (finanziamento illecito ai partiti).

11.1.4. Dall’Allegato 1 alla comunicazione del 9 marzo 2023 è poi emerso che la società ha ricevuto la notifica del decreto di perquisizione prima della stessa -OMISSIS- e, segnatamente, in data 20 febbraio 2023. Pertanto, tenuto conto dell’esigenza di integrare in ogni fase del procedimento selettivo le proprie dichiarazioni di gara, la società, ancor più quando ha appreso (in data 22 febbraio 2023) della propria condizione di “proposta per l’aggiudicazione”, “avrebbe potuto e anzi dovuto offrire comunicazioni a riguardo, senza aspettare il successivo (eventuale) rinvio a giudizio”.

11.1.5. L’operatore economico non può decidere a priori di discernere il quadro di addebiti da dichiarare, proprio perché la stazione appaltante non è in grado, di regola, di ricostruire i fatti da cui desumere il grave illecito professionale, ove essi non siano stati segnalati dal concorrente, che quindi ha l’obbligo di indicarli, e viene infatti escluso se presenta dichiarazioni non veritiere (art. 80, comma 5, lett. f-bis), o se ometta le informazioni dovute (art. 80, comma 5, lett. c-bis);

11.1.6. Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza, la dichiarazione deve essere onnicomprensiva e fornire quante più informazioni possibili, purché pertinenti, in linea astratta, rispetto al giudizio della stazione appaltante in ordine alla affidabilità ed integrità del concorrente (per cui devono essere certamente dichiarati tutti i fatti che siano stati, o siano, oggetto di procedimento penale nel triennio antecedente).

11.1.7. Il provvedimento si conclude motivando nel senso che, alla luce di quanto illustrato, “tenuto conto in ogni caso della gravità del contesto emergente dalle indagini in corso e dei pertinenti presidi di legalità che vengono prescritti in capo agli oo.ee. contraenti dal Codice Etico, dall'adesione al Protocollo di Legalità rifluita tra gli atti di gara e dal Patto di integrità richiesto in sede di stipula del contratto”, si è reputata rilevante l’omessa indicazione e/o integrazione del DGUE di gara e in ogni caso sussistenti le condizioni per procedere alla revoca della proposta di aggiudicazione e alla contestuale esclusione della società dalla procedura di gara.

11.2. Sulla base di quanto precede, risulta di immediata evidenza la potenziale interferenza sul processo decisionale della stazione appaltante della volontà omissiva manifestata dalla società appellante o, comunque, di un comportamento reticente che è stato posto in essere in un quadro di eventi tale da esigere, per sua stessa natura, la massima trasparenza da parte dell’operatore economico.

Va infatti ricordato che l’ipotesi di reato formulata nei confronti del legale rappresentante della società e ad essa nota comunque da epoca antecedente quantomeno alla proposta di aggiudicazione, attiene ad una vicenda delittuosa che ha coinvolto direttamente anche i precedenti vertici societari della stazione appaltante.

A fronte di ciò è pertanto irrilevante l’entità ovvero la gravità della specifica imputazione formulata nei confronti del legale rappresentante della società in quanto la stessa era comunque specificamente collegata ad un peculiare contesto delittuoso, specificamente attinente – se non alla specifica gara in esame – alle procedure indette dalla medesima stazione appaltante.

Quest’ultima ha pertanto effettuato, come messo in luce dal T.a.r. “tutti i passaggi richiesti dalla citata pronuncia Plenaria: i) stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante (e nel caso lo è, nella forma della omessa dichiarazione); ii) se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni (e nel caso lo è, in quanto la gara non sarebbe stata aggiudicata a un soggetto che è risultato indagato insieme ai vertici della stazione appaltante che era in procinto di aggiudicare la gara); iii) ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incide in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità (e anche questo, la -OMISSIS- l’ha chiarito nel provvedimento impugnato)”.

12. Per quanto concerne poi, la rilevanza temporale dell’illecito professionale, si rileva che nel ricorso di primo grado, non risultano contenute doglianze specifiche relative a tale aspetto.

Ad ogni buon conto, il Collegio condivide quella giurisprudenza amministrativa secondo cui:

- l’illecito professionale configura uno strumento di anticipazione della tutela della posizione contrattuale della committente pubblica rispetto ai possibili rischi di inaffidabilità dell’operatore, ed opera, quindi, a prescindere da un eventuale accertamento definitivo in sede penale, che può anche non sussistere;

- per tale ragione, il dies a quo per il calcolo del termine triennale di rilevanza, ex art. 80, comma 10-bis del d. lgs. n. 50 del 2016, dei fatti di matrice penale, non può essere ancorato alla pronuncia con efficacia di giudicato, bensì al momento in cui gli elementi informativi a disposizione della stazione appaltante siano adeguati alla percezione del fatto ed all’apprezzamento della sua incidenza sulla moralità del concorrente; ascrivere al giudicato penale il decorso del termine triennale di rilevanza determinerebbe infatti l’effetto di estendere a dismisura la valenza dello stesso, anche ben oltre l’effetto di un eventuale giudicato penale, in palese contrasto con i fondamentali principi di proporzionalità e ragionevolezza (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 5 luglio 2023, n. 6584);

- in tale ottica, in assenza di un accertamento definitivo, contenuto in una sentenza o in un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile, per individuare il dies a quo del termine triennale capace di elidere la rilevanza dei fatti determinanti l’impossibilità di contrattare con la Pubblica amministrazione, deve aversi riguardo alla data dell’accertamento del fatto, idoneo a conferire a quest’ultimo una qualificazione giuridica rilevante per le norme in materia di esclusione dalle gare d’appalto e non, dunque, alla mera commissione del fatto in sé (Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2022, n. 8611; cfr. anche il § 39 di Corte Giustizia, sez. IV, 24 ottobre 2018, C- 124/17 nonché Cons. Stato, sez. IV, n. 8563 del 2020).

12.1. Per quanto occorrer possa, è utile anche ricordare che, in linea con tale esegesi, il nuovo Codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, ha dato rilievo al “fatto processuale” quale adeguato mezzo di prova dell’illecito professionale (cfr. art. 98, comma 6 lettere g) e h), in relazione al comma 3 e all’art. 95, comma 1 lettera e).

12.1. Nel caso in esame, è dunque irrilevante che i fatti contestati al legale rappresentante della società risalgano al 2017 poiché l’accertamento e la qualificazione giuridica dei fatti medesimi, sono ampiamente successivi.

13. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, n. 5392 del 2023, di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la società appellante alla rifusione delle spese del grado in favore delle due parti resistenti costituite, liquidandole per ciascuna in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge; con la precisazione che, nel caso del costituendo RTI capeggiato dalla società -OMISSIS-s.r.l., le spese così liquidate vanno distratte in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Luca Monteferrante, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Luigi Carbone





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.




Notizia 24/04/2024

sanatoria in area vincolata: piccoli abusi sono sanabili






Il TAR del Lazio, sez. di Latina con la sent. n.196/2024, stabilisce che le opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo, devono essere conformi alle prescrizioni urbanistiche, devono essere minori senza aumento di volume o superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria) e occorre il parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
A tale condizioni possono essere sanate.

Pubblicato il 11/03/2024
N. 00196/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00839/2017 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

sezione staccata di Latina (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 839 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale corrispondente all’indirizzo telematico presente nel Registro di Giustizia nonché fisicamente domiciliato in Priverno, via G. Matteotti n. 147, presso lo studio dell’avv. Alessandro Mariani, che lo rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
contro

Comune di Maenza, in persona del legale Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale corrispondente all’indirizzo telematico presente nel Registro di Giustizia nonché fisicamente domiciliato in Latina alla Via S. Tucci n. 4, presso lo studio dell’avv. Pietro Caschera, giusta procura in atti;
per l'annullamento,

del diniego relativo alla domanda di condono edilizio ai sensi della Legge 47/85, legge 326/2003 pratica edilizia -OMISSIS- ricevuta dal ricorrente in data -OMISSIS- iscritta al protocollo del Comune di Maenza al -OMISSIS-, compreso ogni atto precedente e successivo ad esso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Maenza;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2024 la dott.ssa Benedetta Bazuro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1 – Con ricorso ritualmente notificato il sig. -OMISSIS-ha impugnato l’atto indicato in epigrafe deducendo che:

-in data -OMISSIS- aveva presentato al Comune di Maenza un’istanza di permesso di costruire in sanatoria riguardante la “costruzione di un fabbricato con solo piano terra, adibito a civile abitazione, composto da tre ambienti, completamente ultimato compreso impianto idraulico ed elettrico” ai sensi del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, (convertito in legge dalla l. 326/2003);

-il ricorrente aveva provveduto al pagamento di tutti gli oneri accessori ed al deposito della documentazione necessaria a corredare la predetta istanza;

-in data -OMISSIS- il tecnico incaricato dal Comune aveva espresso parere favorevole al rilascio del permesso;

- nelle more del procedimento era sopraggiunto il parere negativo della Soprintendenza sull’autorizzazione ai sensi dell’art. 146, comma 7, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 in quanto le opere da sanare non rientravano tra le tipologie 4, 5 e 6 della L. 326/2003 per le quali era consentita la sanatoria in zone vincolate e comunque erano manufatti in contrasto con il contesto architettonico, ambientale e paesaggistico dell’area vincolata per la particolare valenza architettonica della stessa;

-per questi stessi motivi il Comune di Maenza aveva negato al ricorrente il permesso in sanatoria richiesto;

-tale provvedimento era illegittimo per: 1) violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in quanto provvedimento sprovvisto di specifica motivazione; 2) errata applicazione del diniego atteso che, nel caso specifico, il vincolo insistente sulla zona non avrebbe dovuto applicarsi al manufatto in questione perché realizzato prima dell’imposizione del vincolo stesso.

2 – Si è costituito il Comune di Maenza chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto.

3- All’udienza pubblica del 6 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4- Il ricorso va respinto per i motivi di seguito esposti.

4.1 – Va rilevato, in primo luogo, che l’istanza di condono in relazione alla quale è stata adottata la determinazione negativa impugnata è stata presentata in base al regime del c.d. “terzo condono” disciplinato dall’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito in legge dalla L.326/2003) che ha fissato limiti più stringenti rispetto ai precedenti “primo e secondo condono”, di cui alle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724.

In particolare, alla luce delle coordinate applicative del c.d. “terzo condono”, come attuato, in sede regionale, con la L.R. 8 novembre 2004, n. 12, solo determinate tipologie di interventi – c.d. abusi formali o minori – risultano condonabili se realizzati in aree sottoposte a vincolo.

Ed infatti, la realizzazione di nuovi volumi e superfici in aree vincolate, indipendentemente dalla data di imposizione del vincolo e dalla natura di vincolo assoluto o relativo alla inedificabilità, è estranea all’ambito di applicazione della disciplina dettata sul terzo condono, come risultante dalla combinato disposto delle disposizioni della l. 326/2003 e della L.R. 12/2004 e come costantemente applicata dalla giurisprudenza amministrativa, nonché secondo le coordinate interpretative individuate dalla Corte Costituzionale, investita della verifica di tenuta costituzionale delle relative disposizioni.

Ciò premesso, alla luce dell’art. 32, commi 26 e 27, del d.l. 269/2003 e degli artt. 2 e 3, comma 1, lettera b), della L.R. n. 12/2004, possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 del d.l. 269/2003, corrispondenti a opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria (ex plurimis, in termini: Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 17 febbraio 2015, n. 2705; 4 aprile 2017 n. 4225; 13 ottobre 2017, n. 10336; 11 luglio 2018, n. 7752; 24 gennaio 2019, n. 931; 9 luglio 2019, n. 9131; 13 marzo 2019, n. 4572; 2 dicembre 2019 n. 13758; 7 gennaio 2020, n. 90; 2 marzo 2020, n. 2743; 26 marzo 2020 n. 2660; 7 maggio 2020, n. 7487; 18 agosto 2020, n. 9252; Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2020 n. 425), mentre per le altre tipologie di abusi interviene una preclusione legale alla sanabilità.

Più nel dettaglio, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che “il condono previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (terzo condono edilizio) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Non sono invece suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 425).

In sintesi, quindi, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

a) si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;

b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, le opere siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;

c) si tratti di opere minori senza aumento di volume o superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria);

d) vi sia il previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Orbene, nel caso di specie viene in rilievo un abuso edilizio che – come dichiarato dallo stesso ricorrente nell’istanza di sanatoria dell’-OMISSIS- – rientra nella tipologia abusiva n. 1; trattandosi di “un fabbricato con solo piano terra, adibito a civile abitazione, composto da tre ambienti, completamente ultimato compreso impianto idraulico ed elettrico” esso va qualificato come “abuso maggiore” essendo una nuova costruzione.

Inoltre, risulta per tabulas che l’abuso in questione è stato realizzato su una zona vincolata.

Ne discende che tale abuso - proprio perché “maggiore” ed incidente su area vincolata - non può essere condonato in ossequio al costante insegnamento giurisprudenziale sopra richiamato, con conseguente piena legittimità del provvedimento di diniego impugnato.

4.2 - Né può essere accolta la censura in merito ad un presunto difetto di motivazione del diniego di sanatoria impugnato, atteso che il provvedimento in questione ha carattere vincolato, essendo ancorato a due specifici presupposti, ovverosia l’esistenza del vincolo paesaggistico e l’incremento di superficie o volumetria. Orbene, il provvedimento impugnato dà puntualmente conto di tali presupposti, con ciò assolvendo in pieno all’obbligo motivazionale sancito dall’art. 3 della L.241/1990.

Per tutto quanto sopra esposto il ricorso va respinto.

5 - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore del Comune resistente che si liquidano in euro 2.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:

Davide Soricelli, Presidente

Roberto Maria Bucchi, Consigliere

Benedetta Bazuro, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Benedetta Bazuro Davide Soricelli





IL SEGRETARIO






Notizia 23/04/2024

SAPERE E’ POTERE: L’ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO ED I SUOI (POCHI) LIMITI






SAPERE E’ POTERE: L’ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO ED I SUOI (POCHI) LIMITI
Abstract : Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2023, n. 9849)
L’accesso civico generalizzato è il diritto della persona a ricercare informazioni nonché a conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni, per rendere possibile quel controllo democratico che l’istituto intendere perseguire. Per tale motivo di interesse generale non occorre verificare la legittimazione o l’interesse di chi fa domanda, poiché chiunque può visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria.
L’accesso civico generalizzato incontra un limite non superabile nelle cause ostative indicate tassativamente dall’articolo 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Invece, l’accesso documentale (previsto dalla legge 241/990) esige la titolarità di una situazione giuridica legittimante (attraverso la dimostrazione della legittimazione e dell’interesse), ma sancisce la prevalenza dell’interesse conoscitivo difensivo nel conflitto con le contrastanti esigenze di riservatezza.
Principi Fondamentali
Scientia potentia est è un aforisma latino che significa «sapere è potere». Forse non sarà potere, ma il diritto di accesso all'informazione (scritta ma non conoscibile se non attraverso apposita istanza) è un elemento chiave per una democrazia sana e partecipativa. Questo principio si basa sulla convinzione che i cittadini abbiano il diritto di conoscere come vengono prese le decisioni pubbliche e come vengono spesi i fondi pubblici.
L'accesso civico generalizzato favorisce la trasparenza delle istituzioni pubbliche, consentendo ai cittadini di monitorare le attività governative e degli enti pubblici e di valutarne l'efficacia e l'efficienza. Inoltre, promuove la responsabilità dell’amministrazione, poiché le istituzioni sono tenute a rendere conto delle proprie azioni e a rispondere alle richieste di informazioni dei cittadini.
Nascita dell’accesso civico generalizzato
Il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. “Freedom of information act” che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la sola definizione di un “numerus clausus” di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013.
L’intento del legislatore delegato è stato quello di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito pubblico”.
La “ratio” dell’intervento è stata declinata in tutte le sue implicazioni dal Consiglio di Stato (cfr. Commiss. Speciale 24 febbraio 2016 n. 515) il quale, nell’esprimere il proprio parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, ha apprezzato, tra gli altri, due aspetti, che assumono rilevanza ai fini della presente decisione:
A) Il primo aspetto, cioè la già sottolineata limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte – ad esempio quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale – vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24 co. 1 L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”.
Deriva da tale principio anzitutto che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa.
In secondo luogo, dal medesimo principio – ricavabile dalla testuale interpretazione dell’art. 5 bis co. 3 d.lgs. n. 33/2013 come novellato – discende la regola, ben chiara ad avviso del Collegio, per cui, ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti.
Va ricordata la delibera ANAC 28 dicembre 2016 n. 1309* (in G.U. n. 7 del 10 gennaio 2017) “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33/2013.
DIFFERENZA CON L’ACCESSO DOCUMENTALE
Esiste una differenza tra:
a) «accesso documentale»: l’accesso disciplinato dal capo V della legge n. 241/1990.
b) «accesso generalizzato»: l’accesso di cui all’art. 5, comma 2, del decreto trasparenza 33/2013.
L’art. 24, comma 1, lettera a), l. 241 del 1990, prevede che “1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
Il citato comma 3, d.lgs. n. 33/2013, contrariamente ai commi precedenti, nell’estendere all’accesso civico generalizzato i limiti relativi all’accesso (documentale) di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990, non esige alcuna motivazione in relazione all’accertamento della mancanza di un pregiudizio concreto alla tutela dell’interesse protetto dalla norma che vieta l’accesso.
Occorre evidenziare che la disciplina delle nuove forme di trasparenza amministrativa differisce significativamente rispetto all’ordinario regime di ostensione documentale previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
L’accesso civico “semplice” e “generalizzato” prescinde dalla dimostrazione di un interesse diretto, concreto e attuale, ma incontra un limite non superabile nelle cause ostative enucleate dall’articolo 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Le norme sull’accesso doc8mentale (esoprocedimentale) esigono la titolarità di una situazione giuridica legittimante, ma sanciscono la prevalenza dell’interesse conoscitivo “difensivo” nel conflitto con le contrastanti esigenze di riservatezza.
LA DISCIPLINA ATTUALE DELL’ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO
La nuova tipologia di accesso (d’ora in avanti «accesso generalizzato»), delineata nel novellato art. 5, comma 2 del decreto trasparenza, dispone «chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, secondo quanto previsto dall’art. 5-bis».
I giudici di Palazzo Spada (Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2023, n. 9849), nella ricostruzione dell’istituto, fanno altresì riferimento ai cd. sistemi FOIA (“Freedom of information act”) secondo cui l’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cd. right to know) non limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge.
Tale diritto trova delle preclusioni nell’art. 5-bis citato che individua un duplice ordine di cause ostative all’accoglimento dell’istanza di ostensione:
1) il caso in cui il riconoscimento dell’accesso possa recare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati elencati dai commi 1 e 2 dello stesso art. 5-bis del Decreto; cioè l’accesso è rifiutato se è necessario (comma 1) per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti
a) sicurezza pubblica e ordine pubblico,
b) sicurezza nazionale,
c) difesa e questioni militari,
d) relazioni internazionali,
e) politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato,
f) conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento,
g) regolare svolgimento di attività ispettive.
Ai sensi del secondo comma, l’accesso è rifiutato se il diniego è necessario per evitare pregiudizio ad uno dei seguenti interessi privati: i) protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
ii) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
iii) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, compresi proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
2) il caso in cui vi sia un preclusione assoluta.
L’accesso generalizzato si traduce in un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione.
La ratio della riforma risiede nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico (art. 5, comma 2 del decreto trasparenza).
In coerenza con il quadro normativo, il diritto di accesso civico generalizzato si configura come diritto a titolarità diffusa, potendo essere attivato «da chiunque» e non essendo sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente (comma 3).
A ciò si aggiunge un ulteriore elemento, ossia che l’istanza «non richiede motivazione».
CONCLUSIONI
Tale nuova tipologia di accesso civico generalizzato risponde all’interesse dell’ordinamento di assicurare ai cittadini (a «chiunque»), indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridiche soggettive, un accesso a dati, documenti e informazioni detenute da pubbliche amministrazioni e dai soggetti indicati nell’art. 2-bis del decreto legislativo n. 33/2013 come modificato dal decreto legislativo n. 97/2016.
In sostanza essendo l’ordinamento ormai decisamente improntato ad una netta preferenza per la trasparenza dell’attività amministrativa, la conoscibilità generalizzata degli atti diviene la regola, temperata solo dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi (pubblici e privati) che possono essere lesi/pregiudicati dalla rivelazione di certe informazioni.

Abstract : Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2023, n. 9849)
L’accesso civico generalizzato è il diritto della persona a ricercare informazioni nonché a conoscere i dati e le decisioni delle amministrazioni, per rendere possibile quel controllo democratico che l’istituto intendere perseguire. Per tale motivo di interesse generale non occorre verificare la legittimazione o l’interesse di chi fa domanda, poiché chiunque può visionare ed estrarre copia cartacea o informatica di atti ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria.
L’accesso civico generalizzato incontra un limite non superabile nelle cause ostative indicate tassativamente dall’articolo 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Invece, l’accesso documentale (previsto dalla legge 241/990) esige la titolarità di una situazione giuridica legittimante (attraverso la dimostrazione della legittimazione e dell’interesse), ma sancisce la prevalenza dell’interesse conoscitivo difensivo nel conflitto con le contrastanti esigenze di riservatezza.
Principi Fondamentali
Scientia potentia est è un aforisma latino che significa «sapere è potere». Forse non sarà potere, ma il diritto di accesso all'informazione (scritta ma non conoscibile se non attraverso apposita istanza) è un elemento chiave per una democrazia sana e partecipativa. Questo principio si basa sulla convinzione che i cittadini abbiano il diritto di conoscere come vengono prese le decisioni pubbliche e come vengono spesi i fondi pubblici.
L'accesso civico generalizzato favorisce la trasparenza delle istituzioni pubbliche, consentendo ai cittadini di monitorare le attività governative e degli enti pubblici e di valutarne l'efficacia e l'efficienza. Inoltre, promuove la responsabilità dell’amministrazione, poiché le istituzioni sono tenute a rendere conto delle proprie azioni e a rispondere alle richieste di informazioni dei cittadini.
Nascita dell’accesso civico generalizzato
Il d.lgs. 25 maggio 2016 n. 97, che ha introdotto l’accesso civico novellando l’art. 5 d.lgs. n. 33/2013, si è dichiaratamente ispirato al cd. “Freedom of information act” che, nel sistema giuridico americano, ha da tempo superato il principio dei limiti soggettivi all’accesso, riconoscendolo ad ogni cittadino, con la sola definizione di un “numerus clausus” di limiti oggettivi, a tutela di interessi giuridicamente rilevanti, che sono appunto precisati nello stesso art. 5 co. 2 d.lgs. n. 33/2013.
L’intento del legislatore delegato è stato quello di “favorire forme diffuse di controllo nel perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, promuovendo così “la partecipazione al dibattito pubblico”.
La “ratio” dell’intervento è stata declinata in tutte le sue implicazioni dal Consiglio di Stato (cfr. Commiss. Speciale 24 febbraio 2016 n. 515) il quale, nell’esprimere il proprio parere favorevole sullo schema di decreto legislativo, ha apprezzato, tra gli altri, due aspetti, che assumono rilevanza ai fini della presente decisione:
A) Il primo aspetto, cioè la già sottolineata limitazione soltanto oggettiva dell’accesso civico, comporta che, oltre alle specifiche “materie” sottratte – ad esempio quelle relative alla politica estera o di sicurezza nazionale – vi possono essere “casi” in cui, per una materia altrimenti compresa per intero nella possibilità di accesso, norme speciali (ovvero l’art. 24 co. 1 L. 241/1990) possono prevedere “specifiche condizioni, modalità e limiti”.
Deriva da tale principio anzitutto che l’ambito delle materie sottratte debba essere definito senza possibilità di estensione o analogia interpretativa.
In secondo luogo, dal medesimo principio – ricavabile dalla testuale interpretazione dell’art. 5 bis co. 3 d.lgs. n. 33/2013 come novellato – discende la regola, ben chiara ad avviso del Collegio, per cui, ove non si ricada in una “materia” esplicitamente sottratta, possono esservi solo “casi” in cui il legislatore pone specifiche limitazioni, modalità o limiti.
Va ricordata la delibera ANAC 28 dicembre 2016 n. 1309* (in G.U. n. 7 del 10 gennaio 2017) “Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5, comma 2, del decreto legislativo n. 33/2013.
DIFFERENZA CON L’ACCESSO DOCUMENTALE
Esiste una differenza tra:
a) «accesso documentale»: l’accesso disciplinato dal capo V della legge n. 241/1990.
b) «accesso generalizzato»: l’accesso di cui all’art. 5, comma 2, del decreto trasparenza 33/2013.
L’art. 24, comma 1, lettera a), l. 241 del 1990, prevede che “1. Il diritto di accesso è escluso: a) per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo”.
Il citato comma 3, d.lgs. n. 33/2013, contrariamente ai commi precedenti, nell’estendere all’accesso civico generalizzato i limiti relativi all’accesso (documentale) di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990, non esige alcuna motivazione in relazione all’accertamento della mancanza di un pregiudizio concreto alla tutela dell’interesse protetto dalla norma che vieta l’accesso.
Occorre evidenziare che la disciplina delle nuove forme di trasparenza amministrativa differisce significativamente rispetto all’ordinario regime di ostensione documentale previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
L’accesso civico “semplice” e “generalizzato” prescinde dalla dimostrazione di un interesse diretto, concreto e attuale, ma incontra un limite non superabile nelle cause ostative enucleate dall’articolo 5-bis, d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Le norme sull’accesso doc8mentale (esoprocedimentale) esigono la titolarità di una situazione giuridica legittimante, ma sanciscono la prevalenza dell’interesse conoscitivo “difensivo” nel conflitto con le contrastanti esigenze di riservatezza.
LA DISCIPLINA ATTUALE DELL’ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO
La nuova tipologia di accesso (d’ora in avanti «accesso generalizzato»), delineata nel novellato art. 5, comma 2 del decreto trasparenza, dispone «chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati giuridicamente rilevanti, secondo quanto previsto dall’art. 5-bis».
I giudici di Palazzo Spada (Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2023, n. 9849), nella ricostruzione dell’istituto, fanno altresì riferimento ai cd. sistemi FOIA (“Freedom of information act”) secondo cui l’interesse conoscitivo del richiedente è elevato al rango di un diritto fondamentale (cd. right to know) non limitabile se non in ragione di contrastanti esigenze di riservatezza espressamente individuate dalla legge.
Tale diritto trova delle preclusioni nell’art. 5-bis citato che individua un duplice ordine di cause ostative all’accoglimento dell’istanza di ostensione:
1) il caso in cui il riconoscimento dell’accesso possa recare un pregiudizio concreto alla tutela degli interessi pubblici e privati elencati dai commi 1 e 2 dello stesso art. 5-bis del Decreto; cioè l’accesso è rifiutato se è necessario (comma 1) per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti
a) sicurezza pubblica e ordine pubblico,
b) sicurezza nazionale,
c) difesa e questioni militari,
d) relazioni internazionali,
e) politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato,
f) conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento,
g) regolare svolgimento di attività ispettive.
Ai sensi del secondo comma, l’accesso è rifiutato se il diniego è necessario per evitare pregiudizio ad uno dei seguenti interessi privati: i) protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia;
ii) la libertà e la segretezza della corrispondenza;
iii) gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, compresi proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.
2) il caso in cui vi sia un preclusione assoluta.
L’accesso generalizzato si traduce in un diritto di accesso non condizionato dalla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti ed avente ad oggetto tutti i dati e i documenti e informazioni detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli per i quali è stabilito un obbligo di pubblicazione.
La ratio della riforma risiede nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico (art. 5, comma 2 del decreto trasparenza).
In coerenza con il quadro normativo, il diritto di accesso civico generalizzato si configura come diritto a titolarità diffusa, potendo essere attivato «da chiunque» e non essendo sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente (comma 3).
A ciò si aggiunge un ulteriore elemento, ossia che l’istanza «non richiede motivazione».
CONCLUSIONI
Tale nuova tipologia di accesso civico generalizzato risponde all’interesse dell’ordinamento di assicurare ai cittadini (a «chiunque»), indipendentemente dalla titolarità di situazioni giuridiche soggettive, un accesso a dati, documenti e informazioni detenute da pubbliche amministrazioni e dai soggetti indicati nell’art. 2-bis del decreto legislativo n. 33/2013 come modificato dal decreto legislativo n. 97/2016.
In sostanza essendo l’ordinamento ormai decisamente improntato ad una netta preferenza per la trasparenza dell’attività amministrativa, la conoscibilità generalizzata degli atti diviene la regola, temperata solo dalla previsione di eccezioni poste a tutela di interessi (pubblici e privati) che possono essere lesi/pregiudicati dalla rivelazione di certe informazioni.





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