Studio Legale Ollari
Telefono
eMail
Studio Legale Ollari

Notizie Aggiornamenti e Novità


Notizia 10/05/2024

Gare pubbliche: l'offerta puo' essere anomala, ma deve essere affidabile





Offerta anomala, sì ma affidabile !
Molti documenti dell’amministrazione che abbiamo nei nostri cassetti, sono stati oggetto di gara per la fornitura di STAMPANTI o semplicemente di TONER.
Il TAR Parma si è pronunciato su una gara di tal tipo, che era stata aggiudicata dopo il procedimento di verifica della anomalia dell’offerta.
Il primo classificato aveva proposito sconti non realistici, secondo la seconda classificata.
La commissione di gara ha giudicato NON ANOMALA l’offerta vincente, dopo un contradditorio con il vincitore.
Il Tar ha confermato il giudizio della commissione: precisando che l’obiettivo dell’indagine sulla anomalia è l’accertamento dell’ affidabilità dell’offerta nel suo complesso e non già delle singole voci che la compongono.
La verifica di anomalia è intesa non a ricercare specifiche inesattezze dell’offerta in esame, ma piuttosto ad accertare se essa in concreto e nel suo complesso sia attendibile ed affidabile quanto alla corretta esecuzione dell’appalto: così la costante giurisprudenza. Di conseguenza, il giudizio relativo è espressione di ampia discrezionalità della stazione appaltante, ed è sindacabile dal Giudice amministrativo di legittimità nei limiti in cui è sindacabile la discrezionalità stessa, ovvero solo nel caso di risultati abnormi o manifestamente illogici, per contraddittorietà intrinseca ovvero per contraddittorietà con i risultati di fatto accertati.
Quindi, se vi sentite tristi o “GIU’ DI TONER” per il mal funzionamento delle vostre stampanti, chiamate Chuck Norris, che quando stampa in formato A4, dalla stampante esce fuori un'Audi fiammante.
Se invece siete arrabbiati con la vostra stampante, allore fate il “Diavolo A4”
Se invece avete una stampante 3D, fatevi stampare quello che ha assunto Franco Battiato quando vedeva “gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori, della dinastia dei MING”.






Notizia 06/05/2024

DIFFERENZA TRA LA NUOVA FORMA DI RISTRUTTURAZIONE (DEMO RICOSTRUTTIVA) E LA NUOVA COSTRUZIONE


Il CONSIGLIO DI STATO (sez. VI sentenza 2 maggio 2024 n. 4005) definisce la nuova forma di demo ricostruzione, che può prevedere anche incrementi di volumetria, soltanto nei casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali. Spesso cio’ avviene per promuovere interventi di rigenerazione urbana.
Tale ristrutturazione necessita del permesso di costruire. Non trattandosi di opere di mero recupero, tanto è vero che l’art. 10 comma 1, TUE, annovera gli interventi di ristrutturazione edilizia tra quelli di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

Pubblicato il 02/05/2024
N. 04005/2024REG.PROV.COLL.
N. 08472/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8472 del 2023, proposto da Ferrari Franco in proprio e nella sua qualità di procuratore generale di Ferrari Pier Domenico, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Daniele Granara, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte Zebio n. 9/11;
contro
Comune della Spezia, in persona Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Carrabba, Ettore Furia, Marcello Puliga, Giovanni Corbyons, Fabrizio Dellepiane, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 00778/2023.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune della Spezia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2024 il Cons. Luigi Furno e uditi per le parti gli avvocati come da verbale.


FATTO
Con il ricorso di primo grado il signor Franco Ferrari, in proprio e nella sua qualità di procuratore generale del signor Pier Domenico Ferrari, impugnava il provvedimento 12.10.2022, con cui il Comune della Spezia aveva disposto il rigetto dell’istanza di permesso di costruire di cui al prot. 52552 del 2/5/2022, relativa ad un intervento di ristrutturazione urbanistica RU3 in attuazione alla Ricomposizione Urbana RC1 in Località Fossamastra.
Nel ricorso di promo grado esponeva:
- che i ricorrenti sono comproprietari degli immobili siti in La Spezia, Loc. Fossamastra, via Levanto, catastalmente individuati al Fg. 49, mapp. 95;
- che i predetti immobili risultano degradati, non soltanto in via di fatto, ma anche sul piano giuridico per un’espressa previsione pianificatoria, ricadendo in area di ricomposizione urbana, disciplinata all’art. 15 delle N.C.C. del P.U.C. di La Spezia;
- che, con istanza prot. n. 52552 in data 2 maggio 2022, il signor Pier Domenico Ferrari domandava all’Amministrazione comunale il rilascio di un permesso di costruire per la realizzazione di un intervento di ristrutturazione edilizia sui medesimi immobili, con riqualificazione dell’intera area;
- che, per la realizzazione dell’intervento proposto, dell’importo superiore a 5 milioni di euro, essi avrebbero fatto ricorso ad incentivi statali e ad agevolazioni fiscali che prevedono la vendita degli immobili finiti entro il 31.12.2024;
- che l’Amministrazione Comunale, con nota prot. n. 88715 del 25 luglio 2022, comunicava i motivi ostativi all’accoglimento della medesima, ai sensi dell’art. 10-bis della L. n. 241/1990;
- che i ricorrenti presentavano osservazioni, ma che, ciononostante, l’Amministrazione comunicava il definitivo rigetto dell’istanza, con la motivazione che “la proposta di intervento interessa un’Area di ricomposizione urbana del PUC vigente, disciplinata all’art. 15 delle Norme di Conformità e Congruenza, in cui sono ammessi esclusivamente interventi di ristrutturazione urbanistica ‘ru3’ o di nuova costruzione ‘nc2’ come definiti all’art. 6 delle medesime norme, che tale intervento è da assoggettarsi, in base alla norma di PUC, a permesso di costruire convenzionato esteso alla relativa Unità Minima di Intervento, e che nelle more della predisposizione del permesso di costruire convenzionato sono ammessi solo interventi di “manutenzione qualitativa” dell’esistente, riconducibili alle fattispecie previste all’art. 6 fino al ‘Risanamento conservativo di tipo B’, e che pertanto gli interventi di ristrutturazione edilizia non sono compatibili con la pertinente normativa di PUC”.
A sostegno del gravame venivano dedotti sei motivi di ricorso, così rubricati.
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità.
2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità. Ulteriore profilo.
3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità.
4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità. Contraddittorietà intrinseca.
5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità.
6. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia, in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 9, 10 e 10-bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità. Omessa considerazione delle osservazioni.
Il T.a.r Liguria, con la decisione 14 agosto 2023, n. 778, ha respinto il ricorso.
Il signor Ferrari ha proposto appello per i motivi riportati nella parte in diritto.
Si è costituito in giudizio il Comune della Spezia, chiedendo il rigetto dell’appello.
La causa è stata decisa all’esito dell’udienza del 22 febbraio 2024.
DIRITTO
Con un primo mezzo di gravame la parte appellante deduce “Erroneità della sentenza per omessa individuazione dell’eccesso di potere per violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle NCC al PUC di La Spezia”.
In particolare, la parte appellante assume l’erroneità della sentenza di primo grado perché non avrebbe adeguatamente valorizzato il chiaro disposto dell’art. 3, primo comma, lett. d) del DPR n. 380/2001, secondo cui “nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull’accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana”.
Tale disposizione, nella prospettiva della riduzione del consumo di suolo, introdurrebbe una nuova tipologia di intervento nella definizione di ristrutturazione edilizia: la demolizione e ricostruzione con incrementi volumetrici.
Muovendo da tale premessa, la parte appellante assume che il Giudice di prime cure erroneamente avrebbe ritenuto che qualunque incremento di volume rispetto alla situazione preesistente sia da ricondurre alla fattispecie di cui all’art 3 lett. e1), con l’eccezione del caso in cui un incremento fosse espressamente previsto dagli strumenti urbanistici per il nomen iuris di ristrutturazione edilizia.
In tal modo, il giudice di primo grado avrebbe erroneamente sovrapposto la fattispecie degli “incrementi volumetrici” in ambito di demolizione e ricostruzione della lett. d) del citato art. 3 e la diversa fattispecie di “ampliamento” dei manufatti esistenti contenuta nella lett. e1) del medesimo articolo, relativa alla definizione di nuova costruzione.
Tra le due fattispecie, argomenta l’appellante, non ci sarebbe alcun rapporto di genere e specie, né di regola ed eccezione, in quanto si riferirebbero alla qualificazione di due tipi di intervento edilizio materialmente differenti.
Una cosa sarebbe, argomenta l’appellante, demolire ricostruendo l’edificio con volume incrementato (lettera d) al fine di realizzare un manufatto strutturalmente e energeticamente “moderno”, tutt’altra cosa sarebbe aggiungere ad un manufatto esistente un “ampliamento”.
Ciò in quanto il legislatore avrebbe voluto distinguere gli interventi di demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico sub lett. d (certamente più adatti a realizzare i ricercati effetti virtuosi di miglioramento in toto del patrimonio immobiliare preesistente, in termini di complessiva sicurezza e sostenibilità) da quelli diversi, e meno apprezzabili, in cui ci si limita ad ampliare un vecchio edificio esistente con altro volume, limitandosi a consumare ulteriore suolo.
Diversamente da quanto affermato nella sentenza impugnata, inoltre, in nessuna parte dell’art. 15 delle N.C.C. al P.U.C. è previsto che l’indice di utilizzazione fondiaria pari a 0,75 mc/mq è attribuito esclusivamente per gli interventi di nuova costruzione e/o di ristrutturazione urbanistica.
Il motivo non è fondato.
In via generale ricorda il Collegio che, secondo una definizione largamente condivisa anche in dottrina, gli interventi di ristrutturazione edilizia sono rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti
Questa definizione è stata originariamente recepita dall’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380/2001.
Tale disposizione è stato nondimeno oggetto, nel corso degli anni, di progressivi interventi legislativi, che ne hanno significativamente ampliato la portata e la conseguente sfera applicativa.
Accanto alla originaria matrice comunque conservativa (la ristrutturazione come insieme sistematico di opere sull'esistente volta alla formazione di un corpo edilizio strutturalmente e funzionalmente innovativo) nel tempo sono stati, infatti, ricondotti al perimetro della ristrutturazione anche il ripristino di edifici demoliti o crollati e la demolizione-ricostruzione.
In particolare, con l’entrata in vigore del d.P.R. 380/2001, la versione originaria dell’art. 3, comma 1, lett. d) riconduceva nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia “anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quella preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
Successivamente, il d.lgs. n. 301/2001 modificava il citato art. 3 comma 1, lett. d), riconducendo nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione dell’immobile con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica.
Con l’entrata in vigore dell’art. 30, comma 1, lett. c), della legge n. 98/2013, il legislatore modificava ulteriormente la nozione di interventi di ristrutturazione edilizia definita dall’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, per ricomprendere in tale ambito anche gli interventi consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria del manufatto preesistente, senza la necessità di mantenere identica la sagoma.
Con l'art. 10 d.l. 16 luglio 2020 n. 76, convertito con modificazioni dalla l. 11 settembre 2020 n. 120, la disposizione di che trattasi è stata ulteriormente novellata, prevedendosi la sostituzione del terzo e del quarto periodo della lettera d) nei seguenti termini: “nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversa sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d. lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, nonché a quelli ubicati nelle zone omogenee A, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria. L’intervento può inoltre prevedere, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria purché sia possibile accertare la preesistente consistenza”.
Le coordinate normative delineate trovano, del resto, corrispondenza, sul piano sistematico, nella analoga evoluzione normativa che ha interessato l’art. 10, d.P.R. n. 380/2001, il quale, in relazione all’ambito di applicazione del permesso di costruire, originariamente disponeva, al comma 1,“Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire: … t. c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”.
Con la novella recata dall’art. 10 del d.l. n 76/2020, è stata, infatti, modificata la lettera C) dell’art. 10 TUE nei seguenti termini: “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici”.
All’esito della riportata evoluzione normativa, in caso di 'modifiche complessive della volumetria degli edifici' si ricade nel regime degli interventi subordinati a permesso di costruire.
L’art. 10 del d.P.R. n. 380 del 2001 prevede, infatti, che il permesso di costruire è necessario per gli “interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, espressamente indicando, tra questi, (comma 1) gli interventi di nuova costruzione (lett. a), gli interventi di ristrutturazione urbanistica (lett. b) e gli interventi di ristrutturazione edilizia (lett. c), con modifiche di sagoma, prospetti o volumetria, a seconda dei casi.
Il comma 2 prevede, infine, che le Regioni possono stabilire con legge “quali mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di costruire o a segnalazione certificata di inizio attività”.
In conclusione, alla luce del quadro regolatorio suesposto, contrariamente a quanto assume la parte appellante, l’intervento di demolizione e ricostruzione può prevedere anche incrementi di volumetria, ma soltanto nei casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana ed è, comunque, soggetto al regime normativo del permesso di costruire.
E in effetti, anche quando l’incremento di volumetria preesistente è espressamente consentito nei termini appena indicati (ovvero quando sia espressamente previsto dal PRG o dalla legislazione), come la migliore dottrina non ha mancato di osservare, si versa in una fattispecie che esorbita dalle opere di mero recupero, tanto è vero che l’art. 10 comma 1, TUE, come visto, annovera gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino a un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici, tra quelli di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, prevedendosi l’assoggettamento di tale fattispecie al regime del permesso di costruire e non a quello della segnalazione certificata di inizio attività.
In sostanza, il legislatore statale collega la necessità del permesso di costruire a fenomeni di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” e, in primo luogo, qualifica come tali la nuova costruzione, la ristrutturazione urbanistica e la ristrutturazione edilizia; in secondo luogo, demanda alle Regioni di individuare quali interventi (diversi da quelli precedentemente indicati) comportanti trasformazione urbanistica (ma non necessariamente edilizia), richiedano il permesso di costruire in ragione della loro natura ed incidenza, in particolare, sul carico urbanistico.
In ambedue le ipotesi innanzi considerate, appare evidente come il permesso di costruire si colleghi sempre ad interventi che incidono sul territorio, trasformandolo sul piano urbanistico - edilizio, o anche su uno solo dei due (Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2017, n. 2567).
La ratio di tale complessiva disciplina risiede, all’evidenza, nella necessità che tali interventi particolarmente impattanti sul piano urbanistico - edilizio (cosiddetta ristrutturazione 'pesante') possano essere realizzati prescindendo da un armonico disegno pianificatorio, mediante una semplice segnalazione certificata da parte del privato.
Applicando tali coordinate al caso in esame, rileva il Collegio che non è controverso in atti e tra le parti che l’operazione di ristrutturazione di che trattasi implica un incremento di volume.
L'intervento edilizio in esame consiste, infatti, nella completa demolizione di tutti i manufatti oggi presenti nell’area in questione e la costruzione, in luogo di questi ed utilizzando l’indice edificatorio previsto dalla pertinente scheda del PUC vigente (Elaborato P7), di tre nuovi edifici residenziali a più piani.
Tale incremento di volumetria, sulla scorta di quanto in precedenza evidenziato, è nondimeno ammissibile solo in presenza di una espressa previsione legislativa ovvero di dello strumento urbanistico comunale.
Ma così non è nella fattispecie in esame, perché la legislazione ligure fa rientrare tra gli interventi di ristrutturazione edilizia quelli comportanti ampliamenti “diversi da quelli di nuova costruzione di cui all'articolo 15 e, quindi, entro soglie percentuali predeterminate dalla disciplina urbanistica senza applicazione dell'indice edificatorio la cui entità, espressa in superficie agibile (S.A.) o volume come definito dallo strumento urbanistico, non può eccedere il 20 per cento del volume geometrico di cui all'articolo 70” (art. 10 comma 2 lett. f, abrogato dall'art. 7, comma 1, L.R. 28 giugno 2017, n. 15, a decorrere dal 30 giugno 2017).
Ne deriva che, in relazione all’intervento in esame, il massimo di incremento superficiario una tantum connesso alla ristrutturazione è quantificato dall’art. 6 del P.U.C. di La Spezia in soli 16 mq di superficie utile lorda (r2 – adeguamento funzionale) per ogni unità immobiliare esistente alla data di adozione del P.U.C. (cfr. 10 delle produzioni di parte comunale), mentre l’indice edificatorio utilizzato dalla parte appellante è quello di 0,75 mc/mq, ovvero l’indice fondiario che il P.U.C. connette inscindibilmente, per le aree di ricomposizione urbana in ambiti di conservazione o ad elevata densità RC in cui ricade l’intervento, a quelli di nuova costruzione e/o di ristrutturazione urbanistica (cfr. l’art. 15 comma 8a delle norme di conformità e congruenza del P.U.C.).
L’equivoco in cui incorre la parte appellante è quello di non considerare che, a differenza della fattispecie della ricostruzione con diversa sagoma e sedime, le modifiche e gli ampliamenti volumetrici di manufatti edilizi continuano ad integrare, di regola, interventi di nuova costruzione (art. 3 comma 1 lett. e.1 D.P.R. n. 380/2001), sicché, ai sensi del richiamato art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, l’incremento volumetrico eccezionalmente (art. 14 disp. prel. cod. civ.) conseguibile con un intervento di ristrutturazione edilizia è soltanto quello specificamente ammesso una tantum dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali per tale tipo di intervento edilizio e non quello (eventualmente) maggiore connesso all’indice edificatorio previsto per gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica.
L'indice di 0,75 mc/mq è infatti un indice edificatorio inscindibilmente connesso a un intervento di nuova costruzione, non un indice di incremento volumetrico applicabile per ampliamenti di edifici esistenti.
La ragione giustificatrice si rinviene nella circostanza per cui l’indice edificatorio in esame si collega alla realizzazione di nuovi edifici, in quanto gli stessi saranno integrati da nuove opere di urbanizzazione, realizzando in tal modo l'obiettivo di sostituire l'insediamento urbanistico preesistente con un insediamento nuovo nell'ambito di un nuovo e complessivo disegno urbanistico finalizzato ad armonizzare il tessuto urbanistico dell'area di ricomposizione urbana con quello delle aree circostanti.
Con un secondo mezzo di gravame la parte appellante ripropone i motivi del ricorso di primo grado rimasti, a suo dire, assorbiti nella sentenza impugnata.
In particolare, con il primo motivo del ricorso di primo grado erano state dedotte: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità”.
Secondo la parte appellante, l’Amministrazione partirebbe dal presupposto erroneo di assumere, quale parametro qualificatori dell’intervento in esame, le definizioni degli interventi edilizi contenute nell’art. 6 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia, da ultimo modificato con deliberazione di Consiglio Comunale n. 35/2011, piuttosto che quelle di cui all’art. 3 del DPR n. 380/2001, che, invece, dovrebbero prevalere sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi.
Premesso che la definizione legislativa di ristrutturazione edilizia è mutata nel tempo dopo l’approvazione del P.U.C., e che essa, ad oggi, ricomprende anche gli interventi di demo-ricostruzione con modifiche di sagoma, sedime e prospetti, e con ampliamento volumetrico (un tempo riconducibili alla nuova costruzione), assume la parte appellante che se il fine pianificatorio è la riqualificazione dell’area, questa finalità dovrebbe essere ritenuta raggiungibile – in ragione dell’evoluzione legislativa – anche con un intervento meno impattante di ristrutturazione edilizia in luogo di un intervento di nuova costruzione (come previsto dal P.U.C.).
Del resto, si argomenta in tale ottica ricostruttiva, se una data previsione pianificatoria (qual è l’art. 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia) consente la realizzazione di interventi di ristrutturazione urbanistica e addirittura di nuova costruzione per il perseguimento delle finalità pianificatorie, la stessa non potrebbe ritenersi preclusiva della realizzazione di diversi interventi di minore impatto edilizio, i quali, in ragione dell’evoluzione legislativa, permetterebbero il raggiungimento delle medesime finalità.
Il motivo non è fondato.
In senso contrario, oltre a richiamare in parte qua le argomentazioni già sviluppate in relazione al primo motivo di appello, il Collegio evidenzia che il complessivo ragionamento della parte appellante è viziato dalla mancata adeguata considerazione della evidenziata ratio che associa un maggior indice esclusivamente agli interventi di nuovo costruzione. Essa, come anticipato, trova fondamento nella necessità che la realizzazione di nuove volumetrie sia integrata da nuove opere di urbanizzazione e, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellante, tale giustificazione traccia una ragionevole linea di discrimine rispetto agli interventi di mera ristrutturazione c.d. leggera ( ovvero non comportante ampliamenti volumetrici).
Di qui l’infondatezza dell’assunto coltivato dalla parte appellante secondo cui la ristrutturazione edilizia, intesa nella descrizione datane dalla lett. d) del testo novellato dell'art. 3 T.U. Edilizia, consentirebbe di raggiungere lo stesso obiettivo pianificatorio posto dal PUC 'con modalità meno invasive'.
Tale assunto urta contro la evidente obiezione secondo la quale il medesimo obiettivo pianificatori non è per definizione raggiungibile esentando, come accadrebbe laddove si aderisse alla tesi prospettata dall’appellante, l’operatore dall’assumere l’obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione previste dal PUC.
Con il terzo motivo del ricorso di primo grado erano state dedotte: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità”.
Ad avviso della parte appellante, l’intervento di demo-ricostruzione con ampliamento sarebbe conforme ai limiti di incremento volumetrico previsti dal P.U.C. di La Spezia e, conseguentemente, ricadrebbe nella definizione di “ristrutturazione edilizia”, senza integrare – come invece ritenuto dall’Amministrazione - una ristrutturazione urbanistica.
Inoltre – sotto un secondo profilo - la previsione di opere di urbanizzazione non potrebbe in alcun modo modificare la qualificazione giuridica dell’intervento edilizio (da ristrutturazione a permesso di costruire).
Il motivo non è fondato.
Esso, nella misura in cui ripropone le censure, già analizzate e ritenuta infondate in relazione ai primi tre motivi di appello, va respinto per le medesime ragioni ivi indicate
Come il Collegio ha già avuto modo di affermare in occasione dell’esame dei primi due motivi di appello, il consistente ampliamento volumetrico relativo al progetto ricostruttivo di che trattasi, esorbita dai limiti di quello eccezionalmente ammesso in base al combinato disposto di cui all’art. 3 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 380/2001 ed al P.U.C. di La Spezia per gli interventi di ristrutturazione edilizia (16 mq di superficie utile lorda per ogni unità immobiliare esistente alla data di adozione del P.U.C.) in quanto utilizza l’indice di utilizzazione fondiaria 0,75 mc/mq relativo agli interventi di nuova costruzione.
Con il quarto motivo del ricorso di primo grado erano state dedotte: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità. Contraddittorietà intrinseca”.
A giudizio della parte appellante, l’assunto secondo cui l’intervento prospettato sarebbe riconducibile ad un intervento di ristrutturazione urbanistica costituirebbe una mera petizione di principio, del tutto scollegata dalla realtà progettuale, che non prevede alcuna sostituzione dell’esistente tessuto urbanistico-edilizio, alcuna modifica del disegno dei lotti, alcuna modifica degli isolati e alcuna modifica della rete stradale.
Ad avviso della parte appellante, contraddittoriamente l’Amministrazione sostiene che l’intervento di ristrutturazione edilizia in esame non è assentitile da un lato perché le previsioni pianificatorie ammettono solo interventi di nuova costruzione e di ristrutturazione urbanistica, dall’altro perché l’intervento sarebbe eccedente il limite della ristrutturazione edilizia, per integrare un intervento di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica.
Il motivo non è fondato.
Esso, nella misura in cui ricalca, le censure, già analizzate e ritenuta infondate in relazione ai primi tre motivi di appello, va preliminarmente respinto per le medesime ragioni ivi indicate.
Contrariamente a quanto assume la parte appellante, nessuna contraddizione è ravvisabile nella motivazione del provvedimento impugnato, la quale ha correttamente negato la pretesa della parte appellante di qualificare l’intervento ricostruttivo di che trattasi come ristrutturazione edilizia (al fine di accedere alle conseguenti agevolazioni fiscali – superbonus, ecobonus e bonus ristrutturazioni) in assenza di una espressa previsione legislativa o del PGR.
Con il quinto motivo del ricorso di primo grado erano state dedotte:Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia. Violazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità”.
Ad avviso della parte appellante, un ulteriore causa di illegittimità del provvedimento impugnato con il ricorso si primo grado si anniderebbe nell’aver ravvisato il mancato rispetto di quanto previsto dall’art. 15 comma 9 delle Norme di conformità e congruenza circa le obbligatorie destinazioni del 50% della superficie del piano terra, muovendo dalla preliminare qualificazione dell’intervento da realizzare come nuova costruzione, anziché come ristrutturazione edilizia.
Il motivo non è fondato essendo, per le ragioni già evidenziante, ancora una volta erronea la premessa da cui muove la parte appellante secondo cui l’intervento in esame sarebbe da qualificare come di ristrutturazione edilizia.
Da quanto osservato in relazione all’esame dei precedenti motivi di appello, discende, infatti, che il Comune ha correttamente qualificato l’intervento di ricostruzione in parola come intervento di nuovo costruzione.
Con il sesto motivo del ricorso di primo grado erano state dedotte: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 380/2001 e s.m.i. in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 15 delle N.C.C. al P.U.C. di La Spezia, in relazione alla violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 9, 10 e 10-bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e s.m.i.. Violazione dei principi di efficacia, efficienza e buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.. Eccesso di potere per difetto assoluto di presupposti, istruttoria e di motivazione. Travisamento. Perplessità. Omessa considerazione delle osservazioni”.
I provvedimenti gravati sarebbero, nella prospettiva della parte appellante, illegittimi poiché, in violazione delle suindicate norme sul procedimento amministrativo, non avrebbero tenuto in alcuna considerazione gli apporti procedimentali offerti all’Amministrazione dai ricorrenti e le integrazioni documentali prodotte.
Il motivo non trova corrispondenza nelle risultanze del procedimento amministrativo dalle quali si ricava che è stata garantita la partecipazione dell’appellante, il quale, più volte, è stato posto in condizione di integrare la documentazione originariamente offerta e di formulare le proprie osservazioni.
Contrariamente a quanto si assume nel motivo di appello in esame, le motivazioni del diniego risultano puntualmente esplicitate e ulteriormente chiarite nell’atto che – a seguito della richiesta di intervento in autotutela – ha confermato le ragioni del diniego ritenendo insufficienti le integrazioni e le controdeduzioni presentate.
La legittimità del provvedimento di diniego del Comune della Spezia consente, infine, di disattendere anche la domanda di risarcimento del danno.
Sul punto invero è sufficiente richiamare la decisione della Adunanza Plenaria n. 7/2021 che, nel solco della storica sentenza delle Sezioni Unite numero 500 del 1999, ha ribadito la riconducibilità della responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o per il mancato esercizio di quella doverosa al paradigma della responsabilità da fatto illecito, sia pure con alcuni adattamenti.
In tale prospettiva, l’esercizio della funzione pubblica, manifestatosi tanto con l’emanazione di atti illegittimi quanto con un’inerzia colpevole, può quindi essere fonte di responsabilità sulla base del principio generale neminem laedere disciplinato dall’art. 2043 del codice civile - in cui è affermato un principio generale dell’ordinamento - secondo cui «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».
Elemento centrale nella fattispecie di responsabilità ora richiamato è quindi l’ingiustizia del danno, da dimostrare in giudizio. Declinata nel settore relativo al «risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi», di cui all’art. 7, comma 4, cod. proc. amm., il requisito dell’ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi.
Alla stregua di tali condivisibili coordinate interpretative, manca nel caso all’esame del Collegio, il primo presupposto per configurare la responsabilità della pubblica amministrazione da attività provvedimentale, vale a dire sotto l’integrazione del danno ingiusto (c.d. danno evento), non ravvisando il Collegio, in radice, l’illegittimità dell’agire provvedimentale nell’operato dell’amministrazione resistente.
Le considerazioni che precedono impongono, pertanto, la reiezione dell’appello e la conferma, sia pure con le precisazioni svolte in motivazione, della sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.
Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi € 5000,00 (cinquemila), oltre accessori di legge, in favore del comune della Spezia.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Neri, Presidente
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere, Estensore
Paolo Marotta, Consigliere


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Luigi Furno Vincenzo Neri





IL SEGRETARIO






Notizia 24/04/2024

garage che diventa abitazione






Se le opere realizzate al piano interrato determinano un cambio di destinazione d'uso urbanisticamente rilevante

1) Se il garage viene trasformato in magazzino o deposito, rimanendo quindi spazio accessorio, senza permanenza di persone, la trasformazione l'abuso è meno grave
2) se il garage viene trasformato in vano destinato alla residenza, anche a tralasciare i profili igienico-sanitari di abitabilità, si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l'originario permesso di costruire.

Pubblicato il 31/01/2024
N. 00954/2024REG.PROV.COLL.

N. 10526/2019 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10526 del 2019, proposto da Enrico Arcangeli, rappresentato e difeso dall'avvocato Maurizio Morri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

il Comune di Misano Adriatico, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
Paola Arrobbio, non costituita in giudizio;
per la riforma

- della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna, Bologna, sezione prima, n. 00374/2019, depositata il 27 aprile 2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 15 dicembre 2023 il consigliere Marina Perrelli e viste le conclusioni di parte appellante come in atti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’appellante Enrico Arcangeli ha chiesto la riforma della sentenza n. 374, pubblicata il 27 aprile 2019, con la quale il T.a.r. per l’Emilia – Romagna, sede di Bologna, sezione I, ha respinto il ricorso R.g. n. 201/2012 proposto avverso l’ordinanza di demolizione adottata dal Comune di Misano Adriatico con atto n. 338 del 29 novembre 2011.

L’appellante ha esposto che:

- l’immobile oggetto di controversia è un fabbricato ad uso abitativo sito in Misano Adriatico, via Bruscheto 32, catastalmente identificato al foglio 4, mappale 368, legittimato con concessione in sanatoria n. 324-1394 rilasciata il 15 aprile 1988, ai sensi dell’art. 31 della legge n. 47/1985, successivamente risanato e consolidato con concessione edilizia n. 2997 del 6 marzo 1990 e ampliato con concessione in sanatoria n. 320-530 rilasciata il 13 giugno 2000, ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994;

- a seguito di sopralluogo del 27 luglio 2011 è stata accertata l’esecuzione di opere non autorizzate con il condono di cui alla legge n. 724/1994 e, segnatamente: a) al piano seminterrato in difformità da quanto legittimato il vano scala era stato utilizzato per ricavarvi un altro servizio igienico, la rampa di accesso era stata realizzata sull’altro lato dell’edificio con apertura di una finestra a fianco della porta d’ingresso e entrambi i locali, divisi da una parete posta in sede diversa da quella autorizzata, avevano la destinazione a tavernetta, originariamente prevista solo per uno, dovendo essere adibito l’altro a garage; b) al piano terra e all’esterno era stata accentuata la sporgenza del porticato mediante il prolungamento della tettoia di copertura, era stato realizzato un porticato anche sul lato opposto rispetto al fronte dell’edificio, posto a copertura della scala di accesso al piano seminterrato e chiuso con delle vetrate, il corpo di fabbrica era stato ampliato sul retro mediante un corridoio, a copertura lignea, che lo collegava a due moduli edilizi, utilizzabili, l’uno come garage, e l’altro senza una destinazione in atto, nonché sull’area circostante erano state edificate due tettoie in corpi staccati ad uso di deposito di legna e di riparo per autovetture;

- l’amministrazione comunale ha qualificato le opere realizzate al piano seminterrato come interventi di ristrutturazione edilizia, sanzionabili ai sensi degli artt. 14, comma 1, della L.R. n. 23/2004 e 33, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, e quelle realizzate al piano terra e sull’area scoperta, come interventi di nuova costruzione in ampliamento, sanzionabili ai sensi degli artt. 13, comma 1, della L.R. n. 23/2004 e 31, comma 1, del d.p.R. n. 380/2001;

- con ordinanza n. 338 del 29 novembre 2011 è stata ingiunta la demolizione delle predette opere;

- la sig.ra Paola Arrobbio, in qualità di proprietaria dell’immobile, è la destinataria dell’ordinanza di demolizione impugnata in primo grado;

- nelle more del giudizio dinnanzi al T.a.r. la sig.ra Arrobbio ha esercitato davanti al Tribunale di Rimini un’azione civile per la declaratoria della nullità del contratto con il quale aveva acquistato l’immobile dall’odierno appellante, precedente proprietario e asserito committente delle opere oggetto dell’ordinanza di demolizione;

- il Tribunale di Rimini, con la sentenza n. 100 dell’1 febbraio 2019, ha accolto la domanda, dichiarando la nullità del contratto di compravendita e condannando la sig.ra Arrobbio alla restituzione dell’immobile al sig. Arcangeli;

- con la sentenza appellata il giudice di primo grado ha respinto il ricorso.

1.3. Tanto premesso in fatto anche ai fini della legittimazione all’appello, il sig. Arcangeli chiede la riforma della sentenza appellata perché:

1) avrebbe erroneamente ritenuto che il mutamento di destinazione d’uso della cantina a tavernetta, con i connessi impianti e l’aggiunta di un bagno, consentirebbe la qualificazione delle opere nel seminterrato come ristrutturazione edilizia, senza considerare che già il condono del 1994 aveva assentito la destinazione di uno dei due locali a tavernetta e che il mutamento non avrebbe riguardato l’edificio nella sua interezza, trasformandolo da abitativo a produttivo o a direzionale o viceversa, né avrebbe consentito l’utilizzazione di una sua parte per una differente destinazione;

2) avrebbe erroneamente ritenuto non applicabile alle opere realizzate al piano terra dell’edificio, in ampliamento del corpo di fabbrica, la sanzione pecuniaria in sostituzione della demolizione sull’erroneo presupposto della realizzazione delle dette opere in assenza piuttosto che in difformità dal titolo edilizio e della mancanza di un accertamento tecnico che ne constati l’incidenza sulla stabilità delle opere legittimate;

3) avrebbe erroneamente valorizzato la mancata richiesta di una sanatoria delle opere realizzate, correlata all’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato dell’insanabilità delle stesse, e non avrebbe valutato la disapplicazione del Regolamento edilizio che illegittimamente nega il beneficio dell’ampliamento ai fabbricati sui quali siano state eseguite opere condonate.

2. Il Comune di Misano Adriatico e la sig.ra Paola Arrobbio, benché ritualmente citati, non si sono costituiti in giudizio.

3. All’udienza del 15 dicembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4. L’appello non è fondato e va respinto.

5. Il Collegio premette che l’odierno appellante, attuale proprietario dell’immobile in controversia a seguito della sentenza del Tribunale di Rimini n. 100 dell’1 febbraio 2019, è legittimato ad impugnare la sentenza di primo grado che ha respinto il ricorso proposto dalla sig.ra Arrobbio, in qualità di proprietaria e destinataria dell’ordine di demolizione.

6. Dalla lettura dell’atto di appello si evince che non vi è contestazione in merito alla effettiva realizzazione delle opere analiticamente descritte nel verbale prot. n. 73/URB del 27 luglio 2011, posto a fondamento dell’ordinanza di demolizione e di ripristino n. 338 del 29 novembre 2011, quanto piuttosto sulla loro qualificazione come ristrutturazione edilizia, anziché come manutenzione con le correlate differenze che ne conseguono sotto il profilo sanzionatorio.

7. Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso affermando che “per poter classificare un intervento edilizio come manutenzione straordinaria, non vi deve essere modificazione della destinazione d’uso, mentre nel caso di specie essa è avvenuta perché da uso cantina si è passati ad una vera e propria tavernetta cioè un locale con cucina, arredi ed impianti con un nuovo W.C. più funzionale ad uso abitativo del precedente. Si deve parlare, invece, di ristrutturazione edilizia cioè “interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto od in parte diverso dal precedente” in assenza di titolo abilitativo come si ricava agevolmente dalla visione delle foto inserite nella relazione comunale”.

8. Il Collegio ritiene che la sentenza sia esente dai vizi lamentati con il primo motivo di appello.

8.1. Al riguardo il Collegio non può che richiamare, quanto affermato dalla recente e costante giurisprudenza del Consiglio di Stato e di questa stessa sezione, con riguardo a casi analoghi a quello in esame, aventi ad oggetto l’accertato mutamento di destinazione d’uso di locali, previsti in progetto quale garage, mediante la creazione di nuovi volumi residenziali, non meramente accessori o tecnici.

Secondo il predetto orientamento, premesso che gli standard urbanistici hanno una “funzione di equilibrio dell’assetto territoriale e di salvaguardia dell’ambiente e della qualità di vita” (Cons. Stato, sez. II, n. 9614 del 2022; Cons. Stato, sez. IV, n. 4068 del 2019), “la destinazione del piano in questione (interrato, ma analogo discorso vale per il sottotetto) ad abitazione ha determinato un incremento delle volumetrie e delle superfici ‘utili’ – ossia utilmente fruibili – con conseguente aggravio del carico urbanistico, secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 1 lett. a) D.P.R. n. 380/2001, a norma del quale costituisce ‘variazione essenziale’ ogni ‘mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968” (Cons. Stato, sez. II, n.6085 del 2023).

Pertanto, nell’ambito di una unità immobiliare ad uso residenziale, devono distinguersi i locali abitabili in senso stretto dagli spazi “accessori” che non hanno valore di superficie edificabile e non sono presi in considerazione come superficie residenziale all’atto del rilascio del permesso di costruire; autorimesse, cantine e locali di servizio rientrano in questa categoria.

Da ciò consegue che non è possibile ritenere urbanisticamente irrilevante la trasformazione di un garage in un locale abitabile; a differenza dell’ipotesi in cui il garage venga trasformato - con o senza opere- in magazzino o deposito, rimanendo quindi spazio accessorio, senza permanenza di persone, “la trasformazione in vano destinato alla residenza, anche a tralasciare i profili igienico-sanitari di abitabilità, si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire” (Cons. Stato, sez. VII, n. 835 del 2023).

8.2. Facendo applicazione dei predetti principi al caso di specie è, quindi, evidente che le opere realizzate al piano interrato determinano un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante con le correlate conseguenze in termini di qualificazione dell’intervento e delle connesse conseguenze sanzionatorie.

9. Sono infondati e da disattendere anche gli ulteriori due motivi di appello.

9.1. Con riguardo alla dedotta mancata valutazione da parte dell’amministrazione della sanabilità delle opere il Collegio rileva che secondo la costante giurisprudenza la conformità urbanistica delle opere deve essere oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione comunale solo nell’ipotesi in cui il privato abbia presentato un’istanza di accertamento di conformità.

E, infatti, “in presenza di abusi edilizi, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 e tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31, del medesimo d.P.R. n. 380 cit., che obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36 che rimette all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica”(Cons. Stato, sez. VI, 17 novembre 2023, n. 9866; Cons. Stato, sez.VI 20 luglio 2021, n. 5457).

9.2. Nel caso di specie è pacifico che la ricorrente in primo grado non abbia presentato alcuna domanda per sanare le opere abusivamente realizzate e che non vi era alcun obbligo dell’amministrazione di valutarne la sanabilità prima di adottare il provvedimento sanzionatorio.

9.3. Con riguardo alla dedotta omessa valutazione della sostituibilità della sanzione demolitoria con quella pecuniaria il Collegio, premessa per le ragioni esposte in relazione ai precedenti motivi la sanzionabilità delle opere abusivamente realizzate con la demolizione, evidenzia che l'applicabilità della sanzione pecuniaria può essere decisa dall'amministrazione solo nella fase esecutiva dell'ordine di demolizione e non prima, sulla base di un motivato accertamento tecnico. La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire, con la conseguenza che la mancata valutazione di tale eventualità non può costituire un vizio dell'ordine di demolizione, come correttamente evidenziato dal giudice di primo grado (Cons. Stato, sez. VI, 14 luglio 2023, n. 6894).

10. Per le ragioni esposte l’appello deve essere respinto.

11. Nulla va disposto in relazione alle spese in considerazione della mancata costituzione dell’amministrazione resistente e della sig.ra Arrobbio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2023, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del d.l. 9 giugno 2021, n. 80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Daniela Di Carlo, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere, Estensore

Ofelia Fratamico, Consigliere



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Marina Perrelli Marco Lipari





IL SEGRETARIO






Notizia 24/04/2024

esclusione dalla gara anche senza sentenza penale definitiva






Si tratta di una esclusione da una gara a seguito della valutazione della propria affidabilità ritenuta gravemente compromessa da quanto appreso dalla stazione appaltante in merito ad un procedimento penale non ancora concluso.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto legittimo il provvedimento di esclusione poichè l’illecito professionale è uno strumento di anticipazione della tutela della posizione contrattuale della committente pubblica rispetto ai possibili rischi di inaffidabilità dell’operatore. Esso opera a prescindere da un eventuale accertamento definitivo in sede penale, che può anche non sussistere.

Pubblicato il 28/03/2024
N. 02931/2024REG.PROV.COLL.

N. 05392/2023 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5392 del 2023, proposto dalla società -OMISSIS- s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in relazione alla procedura -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Russo e Denis Scarmozzino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L. Napolitano, in Roma, via Girolamo da Carpi 6;
contro

la società -OMISSIS- s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Marcello Russo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti

della società -OMISSIS-s.r.l. (nella qualità di mandataria del costituendo R.T.I.) e della società -OMISSIS- s.p.a. (nella qualità di mandante), in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentate e difese dall'avvocato Domenico Vitale, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione terza) n. -OMISSIS-, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della società -OMISSIS-e delle società -OMISSIS-s.r.l. e -OMISSIS- s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 febbraio 2024 la consigliera Silvia Martino;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La società odierna appellante impugnava innanzi al T.a.r. per la Campania il provvedimento in data 21 marzo 2023 prot.n.4549/2023 con cui la società -OMISSIS- s.p.a., in qualità di stazione appaltante, aveva disposto la revoca della proposta di aggiudicazione e l’esclusione della società ricorrente dalla gara indetta per l’affidamento del servizio di movimentazione interna, prelievo, trasporto e smaltimento finale dei rifiuti fanghi, vaglio e sabbie, classificabili come speciali non pericolosi ai sensi dell’art. 184 del d.lgs. n. 152/2006, prodotti dall’impianto di depurazione di -OMISSIS- e dall’impianto di grigliatura di -OMISSIS-.

1.1. L’esclusione della società, con la conseguente revoca della proposta di aggiudicazione, è stata determinata dalla valutazione in merito all’affidabilità dell’operatore economico ritenuta gravemente compromessa da quanto appreso relativamente al procedimento penale n.r.g. 21386/2021 del Tribunale di Napoli, avente ad oggetto condotte poste in essere da pubblici ufficiali e imprenditori finalizzate alla turbativa d’asta di procedure di gara indette dalla stessa stazione appaltante, -OMISSIS- s.p.a.

1.2. Il ricorso di primo grado veniva affidato a tre mezzi di gravame (estesi da pag. 2 a pag. 10).

1.3. L’impugnativa veniva poi estesa alla determina in data 5 aprile 2023, n. 39, di aggiudicazione del servizio al RTI con capogruppo -OMISSIS-s.r.l., censurata per invalidità derivata.

1.4. Il T.a.r., con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa;

- ha respinto il ricorso principale;

- ha dichiarato improcedibili i motivi aggiunti per carenza di interesse;

- ha condannato la ricorrente alla rifusione delle spese di lite.

2. L’appello della società ricorrente, rimasta soccombente, è affidato ai motivi che vengono di seguito sintetizzati.

I. La -OMISSIS- ha escluso l’odierna appellante, già individuata quale aggiudicataria della gara, in ragione «della manifesta omissione dichiarativa […] e della gravità dei reati contestati dall’A.G.».

L’omissione dichiarativa alla quale si riferisce la stazione appaltante era emersa in data 21 febbraio 2023, allorquando “era stato notificato alla -OMISSIS-s.p.a. il decreto di perquisizione locale e personale […]” ed era risultato che “nel citato provvedimento emesso dall’Autorità Giudiziaria, veniva formalizzato il coinvolgimento diretto -OMISSIS- in gravi ipotesi di reato”.

In pratica, la stazione appaltante contestava alla società di non aver segnalato di essere stata destinataria del decreto di perquisizione e che dai fatti in essa riportati risultava il coinvolgimento del legale rappresentante della società in un “contesto delittuoso” caratterizzato dalla “gravità dei reati contestati”.

L’appellante ritiene che nel provvedimento di esclusione mancherebbe del tutto l’accertamento che l’omissione dichiarativa rilevata sia stata in grado di incidere sul corretto svolgimento della procedura di selezione.

In esso, al contrario, si metterebbe in luce soprattutto il fatto che l’indagine ha coinvolto altri imprenditori, due rappresentanti della stazione appaltante ed un esponente politico.

Tra l’omissione informativa e l’informazione fuorviante o addirittura falsa, vi è una ontologica differenza già risultante dall’art. 80, comma 5, lett. c-bis del d.lgs. n. 50/2016 ed oggi rimarcata dall’art. 98, commi 3 e 5, del d.lgs. n. 36/2023.

In ogni caso, la valutazione della rilevanza dell’omissione informativa compete alla stazione appaltante e non al giudice, come chiarito dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

L’appellante soggiunge che, nel caso in esame, il decreto di perquisizione era stato contestualmente notificato anche alla stessa stazione appaltante e che la notifica alla società è avvenuta appena due giorni prima dell’apertura delle offerte.

Né l’omissione potrebbe ritenersi sussistente per il solo fatto che l’appellante abbia ricevuto la comunicazione della richiesta di proroga delle indagini ad ottobre del 2022, poiché lo stesso RUP, nel provvedimento impugnato, avrebbe specificato che la rilevanza dell’omissione informativa è stata valutata con riferimento al decreto di perquisizione ed alla descrizione, in essa riportata per la prima volta, dei fatti dai quali emergevano le condotte addebitate agli indagati.

II. La -OMISSIS- ha escluso l’appellante per il coinvolgimento del suo legale rappresentante in un “contesto delittuoso” caratterizzato dalla “gravità dei reati contestati” in un “un quadro di sistematico e diffuso di illegalità che, lungi da riferirsi ad una mera dazione di danaro elusiva delle disposizioni sul finanziamento alla politica, avrebbe visto indifferentemente coinvolti operatori economici e management aziendale pregresso, in uno a candidati a funzioni di rappresentanza nelle Istituzioni, in una logica di vasto respiro che stride con i principi di integrità che animano l’approccio della -OMISSIS-s.p.a. al mercato delle pubbliche commesse”.

Il fatto per cui il legale rappresentate della società è imputato riguarda però specificamente ed esclusivamente un’ipotesi di finanziamento illecito ai partiti politici.

Tale circostanza non sarebbe stata ritenuta in sé rilevante dalla -OMISSIS- che avrebbe dato invece peso al fatto che egli fosse indagato insieme ad altri ai quali erano invece contestati gravi reati.

III. La sentenza fa altresì riferimento alla circostanza che sia nel decreto di perquisizione che nell’ordinanza cautelare 37/2023 del 21 marzo 2023, venga descritto un quadro complessivo di irregolarità che ha investito, a più riprese, anche la ricorrente.

La società ha tuttavia potuto accertare che le uniche fonti di prova della presunta responsabilità penale del proprio legale rappresentante sarebbero costituite dagli interrogatori dell’amministratore della -OMISSIS- all’epoca dei fatti contestati e del direttore, sempre dell’epoca, dell’impianto di depurazione.

Da tali verbali risulterebbe però il coinvolgimento di un unico operatore, diverso dalla ricorrente.

La stazione appaltante non ha nemmeno tenuto conto del tempo trascorso dai fatti oggetto di contestazione - risalenti al 2017 e quindi ben oltre il triennio dalla indizione della gara – nonché della inesistenza di recidive o pregresse contestazioni di non affidabilità dell’appellante.

3. Si sono costituite, per resistere, le società controinteressate.

4. Si è costituita, per resistere, la società -OMISSIS-.

5. Con ordinanza n. 2846 del 10 luglio 2023, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare.

6. La società -OMISSIS- ha depositato una memoria conclusionale.

7. La società -OMISSIS- ha depositato una memoria di replica.

8. L’appello è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza dell’1 febbraio 2024.

9. L’appello è infondato e deve essere respinto.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

10. Giova anzitutto ricordare che la violazione degli obblighi informativi discendenti dall’art. 80, comma 5, lett. c e c-bis, d.lgs. n. 50 del 2016 (ratione temporis applicabile alla fattispecie), in tanto può comportare l’esclusione del concorrente reticente in quanto essa sia stata valutata dalla stazione appaltante in termini di incidenza sulla permanenza dei requisiti di integrità ed affidabilità del concorrente stesso.

L’esclusione non è automatica ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale della stazione appaltante, la quale potrà adottare la misura espulsiva una volta appurato, indipendentemente dalle modalità di acquisizione dei relativi elementi di fatto, che l’omissione dichiarativa abbia intaccato l’attendibilità professionale dell’operatore economico, minando la relazione di fiducia venutasi a creare a seguito della partecipazione alla gara.

10.1. In materia, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con la sentenza n. 16 del 28 agosto 2020, ha stabilito i seguenti principi di diritto:

- la falsità di informazioni rese dall’operatore economico partecipante a procedure di affidamento di contratti pubblici e finalizzata all'adozione dei provvedimenti di competenza della stazione appaltante concernenti l'ammissione alla gara, la selezione delle offerte e l’aggiudicazione, è riconducibile all’ipotesi prevista dalla lettera c) [ora c-bis)] dell’art. 80, comma 5, del codice dei contratti di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50;

- in conseguenza di ciò la stazione appaltante è tenuta a svolgere la valutazione di integrità e affidabilità del concorrente, ai sensi della medesima disposizione, senza alcun automatismo espulsivo;

- alle conseguenze ora esposte conduce anche l’omissione di informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, nell’ambito della quale rilevano, oltre ai casi oggetto di obblighi dichiarativi predeterminati dalla legge o dalla normativa di gara, solo quelle evidentemente incidenti sull’integrità ed affidabilità dell'operatore economico;

- la lettera f-bis) dell'art. 80, comma 5, del codice dei contratti pubblici ha carattere residuale e si applica in tutte le ipotesi di falso non rientranti in quelle previste dalla lettera c) [ora c-bis)] della medesima disposizione.

10.2. Per quanto qui interessa, l’Adunanza plenaria ha argomentato che “elemento comune alle fattispecie dell’omissione dichiarativa [...] con quella relativa alle informazioni false o fuorvianti suscettibili di incidere sulle decisioni dell'amministrazione concernenti l’ammissione, la selezione o l’aggiudicazione, è dato dal fatto che in nessuna di queste fattispecie si ha l’automatismo espulsivo proprio del falso dichiarativo di cui alla lettera f-bis). Infatti, tanto “il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull'esclusione, la selezione o l'aggiudicazione”, quanto “l'omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione” sono considerati dalla lettera c) quali “gravi illeciti professionali” in grado di incidere sull' “integrità o affidabilità” dell'operatore economico. È pertanto indispensabile una valutazione in concreto della stazione appaltante, come per tutte le altre ipotesi previste dalla medesima lettera c) [ed ora articolate nelle lettere c-bis), c-ter) e c-quater), per effetto delle modifiche da ultimo introdotte dalla legge decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 - Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l'accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici; convertito dalla legge 14 giugno 2019, n. 55]. [...] Nel contesto di questa valutazione l’amministrazione dovrà pertanto stabilire se l'informazione è effettivamente falsa o fuorviante; se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni; ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incida in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità. Del pari dovrà stabilire allo stesso scopo se quest’ultimo ha omesso di fornire informazioni rilevanti, sia perché previste dalla legge o dalla normativa di gara, sia perché evidentemente in grado di incidere sul giudizio di integrità ed affidabilità”.

10.2. Relativamente al giudizio svolto dalla stazione appaltante, la richiamata decisione ha poi sottolineato che operano “i consolidati limiti del sindacato di legittimità rispetto a valutazioni di carattere discrezionale in cui l'amministrazione sola è chiamata a fissare 'il punto di rottura dell'affidamento nel pregresso e/o futuro contraente' [Cassazione, sezioni unite civili, nella sentenza del 17 febbraio 2012, n. 2312, che ha annullato per eccesso di potere giurisdizionale una sentenza di questo Consiglio di Stato che aveva a sua volta ritenuto illegittimo il giudizio di affidabilità professionale espresso dall'amministrazione in relazione all'allora vigente art. 38, comma 1, lett. f), dell'abrogato codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163]; limiti che non escludono in radice, ovviamente, il sindacato della discrezionalità amministrativa, ma che impongono al giudice una valutazione della correttezza dell'esercizio del potere informato ai princìpi di ragionevolezza e proporzionalità e all'attendibilità della scelta effettuata dall'amministrazione” ( par. 15).

11. Ciò posto, nel caso in esame, reputa il Collegio che alcun “deficit” motivazionale sia ravvisabile nel provvedimento espulsivo impugnato in primo grado.

A differenza di quanto preteso dall’appellante, è infatti proprio la rilevanza del “contesto” nel quale l’omissione informativa è maturata – debitamente valorizzato dall’Amministrazione - a giustificare la decisione di esclusione che non si appalesa quindi né arbitraria né illogica.

11.1. Al riguardo, giova richiamare gli snodi essenziali della determina di esclusione, peraltro puntualmente riportati ed analizzati nella sentenza oggetto di gravame.

11.1.1. In primo luogo, la società appellante era a conoscenza del procedimento penale a carico del proprio legale rappresentante quantomeno dal 22 ottobre 2022, data che precede ampiamente il termine ultimo di presentazione delle offerte (11 febbraio 2023).

11.1.2. Pur volendo sorvolare sulla non perspicua risposta fornita il 9 marzo 2023 (in sede di contraddittorio procedimentale) che ha reso necessario un supplemento di istruttoria “e anche a voler offrire piena comprensione alla circostanza che fino alla data del 21 febbraio 2023” la società “non avesse avuto occasione di comprendere quale fattispecie specifica di reato fosse stata contestata al proprio legale rappresentante appare evidente che l'arco ricompreso tra la data di notifica della proroga delle indagini (22.10.2022) e il termine ultimo di ricevimento delle offerte di gara (11.2.2023) costituisce un congruo ordine temporale per avere contezza se non altro della tipologia penale in rilievo, dell'A.G. procedente e del numero del procedimento penale”.

11.1.3. Dall’analisi del contenuto del decreto di perquisizione notificato il 21 febbraio 2023 emerge altresì come il legale rappresentante della società avesse già designato il proprio avvocato di fiducia e potesse, pertanto, avere piena contezza dei reati contestati (finanziamento illecito ai partiti).

11.1.4. Dall’Allegato 1 alla comunicazione del 9 marzo 2023 è poi emerso che la società ha ricevuto la notifica del decreto di perquisizione prima della stessa -OMISSIS- e, segnatamente, in data 20 febbraio 2023. Pertanto, tenuto conto dell’esigenza di integrare in ogni fase del procedimento selettivo le proprie dichiarazioni di gara, la società, ancor più quando ha appreso (in data 22 febbraio 2023) della propria condizione di “proposta per l’aggiudicazione”, “avrebbe potuto e anzi dovuto offrire comunicazioni a riguardo, senza aspettare il successivo (eventuale) rinvio a giudizio”.

11.1.5. L’operatore economico non può decidere a priori di discernere il quadro di addebiti da dichiarare, proprio perché la stazione appaltante non è in grado, di regola, di ricostruire i fatti da cui desumere il grave illecito professionale, ove essi non siano stati segnalati dal concorrente, che quindi ha l’obbligo di indicarli, e viene infatti escluso se presenta dichiarazioni non veritiere (art. 80, comma 5, lett. f-bis), o se ometta le informazioni dovute (art. 80, comma 5, lett. c-bis);

11.1.6. Secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza, la dichiarazione deve essere onnicomprensiva e fornire quante più informazioni possibili, purché pertinenti, in linea astratta, rispetto al giudizio della stazione appaltante in ordine alla affidabilità ed integrità del concorrente (per cui devono essere certamente dichiarati tutti i fatti che siano stati, o siano, oggetto di procedimento penale nel triennio antecedente).

11.1.7. Il provvedimento si conclude motivando nel senso che, alla luce di quanto illustrato, “tenuto conto in ogni caso della gravità del contesto emergente dalle indagini in corso e dei pertinenti presidi di legalità che vengono prescritti in capo agli oo.ee. contraenti dal Codice Etico, dall'adesione al Protocollo di Legalità rifluita tra gli atti di gara e dal Patto di integrità richiesto in sede di stipula del contratto”, si è reputata rilevante l’omessa indicazione e/o integrazione del DGUE di gara e in ogni caso sussistenti le condizioni per procedere alla revoca della proposta di aggiudicazione e alla contestuale esclusione della società dalla procedura di gara.

11.2. Sulla base di quanto precede, risulta di immediata evidenza la potenziale interferenza sul processo decisionale della stazione appaltante della volontà omissiva manifestata dalla società appellante o, comunque, di un comportamento reticente che è stato posto in essere in un quadro di eventi tale da esigere, per sua stessa natura, la massima trasparenza da parte dell’operatore economico.

Va infatti ricordato che l’ipotesi di reato formulata nei confronti del legale rappresentante della società e ad essa nota comunque da epoca antecedente quantomeno alla proposta di aggiudicazione, attiene ad una vicenda delittuosa che ha coinvolto direttamente anche i precedenti vertici societari della stazione appaltante.

A fronte di ciò è pertanto irrilevante l’entità ovvero la gravità della specifica imputazione formulata nei confronti del legale rappresentante della società in quanto la stessa era comunque specificamente collegata ad un peculiare contesto delittuoso, specificamente attinente – se non alla specifica gara in esame – alle procedure indette dalla medesima stazione appaltante.

Quest’ultima ha pertanto effettuato, come messo in luce dal T.a.r. “tutti i passaggi richiesti dalla citata pronuncia Plenaria: i) stabilire se l’informazione è effettivamente falsa o fuorviante (e nel caso lo è, nella forma della omessa dichiarazione); ii) se inoltre la stessa era in grado di sviare le proprie valutazioni (e nel caso lo è, in quanto la gara non sarebbe stata aggiudicata a un soggetto che è risultato indagato insieme ai vertici della stazione appaltante che era in procinto di aggiudicare la gara); iii) ed infine se il comportamento tenuto dall’operatore economico incide in senso negativo sulla sua integrità o affidabilità (e anche questo, la -OMISSIS- l’ha chiarito nel provvedimento impugnato)”.

12. Per quanto concerne poi, la rilevanza temporale dell’illecito professionale, si rileva che nel ricorso di primo grado, non risultano contenute doglianze specifiche relative a tale aspetto.

Ad ogni buon conto, il Collegio condivide quella giurisprudenza amministrativa secondo cui:

- l’illecito professionale configura uno strumento di anticipazione della tutela della posizione contrattuale della committente pubblica rispetto ai possibili rischi di inaffidabilità dell’operatore, ed opera, quindi, a prescindere da un eventuale accertamento definitivo in sede penale, che può anche non sussistere;

- per tale ragione, il dies a quo per il calcolo del termine triennale di rilevanza, ex art. 80, comma 10-bis del d. lgs. n. 50 del 2016, dei fatti di matrice penale, non può essere ancorato alla pronuncia con efficacia di giudicato, bensì al momento in cui gli elementi informativi a disposizione della stazione appaltante siano adeguati alla percezione del fatto ed all’apprezzamento della sua incidenza sulla moralità del concorrente; ascrivere al giudicato penale il decorso del termine triennale di rilevanza determinerebbe infatti l’effetto di estendere a dismisura la valenza dello stesso, anche ben oltre l’effetto di un eventuale giudicato penale, in palese contrasto con i fondamentali principi di proporzionalità e ragionevolezza (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 5 luglio 2023, n. 6584);

- in tale ottica, in assenza di un accertamento definitivo, contenuto in una sentenza o in un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile, per individuare il dies a quo del termine triennale capace di elidere la rilevanza dei fatti determinanti l’impossibilità di contrattare con la Pubblica amministrazione, deve aversi riguardo alla data dell’accertamento del fatto, idoneo a conferire a quest’ultimo una qualificazione giuridica rilevante per le norme in materia di esclusione dalle gare d’appalto e non, dunque, alla mera commissione del fatto in sé (Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2022, n. 8611; cfr. anche il § 39 di Corte Giustizia, sez. IV, 24 ottobre 2018, C- 124/17 nonché Cons. Stato, sez. IV, n. 8563 del 2020).

12.1. Per quanto occorrer possa, è utile anche ricordare che, in linea con tale esegesi, il nuovo Codice dei contratti pubblici, approvato con d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, ha dato rilievo al “fatto processuale” quale adeguato mezzo di prova dell’illecito professionale (cfr. art. 98, comma 6 lettere g) e h), in relazione al comma 3 e all’art. 95, comma 1 lettera e).

12.1. Nel caso in esame, è dunque irrilevante che i fatti contestati al legale rappresentante della società risalgano al 2017 poiché l’accertamento e la qualificazione giuridica dei fatti medesimi, sono ampiamente successivi.

13. In definitiva, per quanto sopra argomentato, l’appello deve essere respinto.

Le spese del grado seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, n. 5392 del 2023, di cui in epigrafe, lo respinge.

Condanna la società appellante alla rifusione delle spese del grado in favore delle due parti resistenti costituite, liquidandole per ciascuna in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge; con la precisazione che, nel caso del costituendo RTI capeggiato dalla società -OMISSIS-s.r.l., le spese così liquidate vanno distratte in favore del difensore, dichiaratosi antistatario.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Carbone, Presidente

Luca Lamberti, Consigliere

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Luca Monteferrante, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Silvia Martino Luigi Carbone





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.




Notizia 24/04/2024

sanatoria in area vincolata: piccoli abusi sono sanabili






Il TAR del Lazio, sez. di Latina con la sent. n.196/2024, stabilisce che le opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo, devono essere conformi alle prescrizioni urbanistiche, devono essere minori senza aumento di volume o superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria) e occorre il parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.
A tale condizioni possono essere sanate.

Pubblicato il 11/03/2024
N. 00196/2024 REG.PROV.COLL.

N. 00839/2017 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

sezione staccata di Latina (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 839 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale corrispondente all’indirizzo telematico presente nel Registro di Giustizia nonché fisicamente domiciliato in Priverno, via G. Matteotti n. 147, presso lo studio dell’avv. Alessandro Mariani, che lo rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
contro

Comune di Maenza, in persona del legale Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale corrispondente all’indirizzo telematico presente nel Registro di Giustizia nonché fisicamente domiciliato in Latina alla Via S. Tucci n. 4, presso lo studio dell’avv. Pietro Caschera, giusta procura in atti;
per l'annullamento,

del diniego relativo alla domanda di condono edilizio ai sensi della Legge 47/85, legge 326/2003 pratica edilizia -OMISSIS- ricevuta dal ricorrente in data -OMISSIS- iscritta al protocollo del Comune di Maenza al -OMISSIS-, compreso ogni atto precedente e successivo ad esso.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Maenza;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 marzo 2024 la dott.ssa Benedetta Bazuro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1 – Con ricorso ritualmente notificato il sig. -OMISSIS-ha impugnato l’atto indicato in epigrafe deducendo che:

-in data -OMISSIS- aveva presentato al Comune di Maenza un’istanza di permesso di costruire in sanatoria riguardante la “costruzione di un fabbricato con solo piano terra, adibito a civile abitazione, composto da tre ambienti, completamente ultimato compreso impianto idraulico ed elettrico” ai sensi del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, (convertito in legge dalla l. 326/2003);

-il ricorrente aveva provveduto al pagamento di tutti gli oneri accessori ed al deposito della documentazione necessaria a corredare la predetta istanza;

-in data -OMISSIS- il tecnico incaricato dal Comune aveva espresso parere favorevole al rilascio del permesso;

- nelle more del procedimento era sopraggiunto il parere negativo della Soprintendenza sull’autorizzazione ai sensi dell’art. 146, comma 7, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 in quanto le opere da sanare non rientravano tra le tipologie 4, 5 e 6 della L. 326/2003 per le quali era consentita la sanatoria in zone vincolate e comunque erano manufatti in contrasto con il contesto architettonico, ambientale e paesaggistico dell’area vincolata per la particolare valenza architettonica della stessa;

-per questi stessi motivi il Comune di Maenza aveva negato al ricorrente il permesso in sanatoria richiesto;

-tale provvedimento era illegittimo per: 1) violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in quanto provvedimento sprovvisto di specifica motivazione; 2) errata applicazione del diniego atteso che, nel caso specifico, il vincolo insistente sulla zona non avrebbe dovuto applicarsi al manufatto in questione perché realizzato prima dell’imposizione del vincolo stesso.

2 – Si è costituito il Comune di Maenza chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto ed in diritto.

3- All’udienza pubblica del 6 marzo 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

4- Il ricorso va respinto per i motivi di seguito esposti.

4.1 – Va rilevato, in primo luogo, che l’istanza di condono in relazione alla quale è stata adottata la determinazione negativa impugnata è stata presentata in base al regime del c.d. “terzo condono” disciplinato dall’art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito in legge dalla L.326/2003) che ha fissato limiti più stringenti rispetto ai precedenti “primo e secondo condono”, di cui alle leggi 28 febbraio 1985, n. 47 e 23 dicembre 1994, n. 724.

In particolare, alla luce delle coordinate applicative del c.d. “terzo condono”, come attuato, in sede regionale, con la L.R. 8 novembre 2004, n. 12, solo determinate tipologie di interventi – c.d. abusi formali o minori – risultano condonabili se realizzati in aree sottoposte a vincolo.

Ed infatti, la realizzazione di nuovi volumi e superfici in aree vincolate, indipendentemente dalla data di imposizione del vincolo e dalla natura di vincolo assoluto o relativo alla inedificabilità, è estranea all’ambito di applicazione della disciplina dettata sul terzo condono, come risultante dalla combinato disposto delle disposizioni della l. 326/2003 e della L.R. 12/2004 e come costantemente applicata dalla giurisprudenza amministrativa, nonché secondo le coordinate interpretative individuate dalla Corte Costituzionale, investita della verifica di tenuta costituzionale delle relative disposizioni.

Ciò premesso, alla luce dell’art. 32, commi 26 e 27, del d.l. 269/2003 e degli artt. 2 e 3, comma 1, lettera b), della L.R. n. 12/2004, possono ritenersi suscettibili di sanatoria, nelle aree soggette a vincoli, solo le opere di minore rilevanza, corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1 del d.l. 269/2003, corrispondenti a opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria (ex plurimis, in termini: Tar Lazio, Roma, Sez. II bis, 17 febbraio 2015, n. 2705; 4 aprile 2017 n. 4225; 13 ottobre 2017, n. 10336; 11 luglio 2018, n. 7752; 24 gennaio 2019, n. 931; 9 luglio 2019, n. 9131; 13 marzo 2019, n. 4572; 2 dicembre 2019 n. 13758; 7 gennaio 2020, n. 90; 2 marzo 2020, n. 2743; 26 marzo 2020 n. 2660; 7 maggio 2020, n. 7487; 18 agosto 2020, n. 9252; Consiglio di Stato, Sez. VI, 17 gennaio 2020 n. 425), mentre per le altre tipologie di abusi interviene una preclusione legale alla sanabilità.

Più nel dettaglio, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente affermato che “il condono previsto dall’art. 32 del decreto-legge n. 269 del 2003 (terzo condono edilizio) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo. Non sono invece suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici” (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI, 17 gennaio 2020, n. 425).

In sintesi, quindi, le opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli, fra cui quello ambientale e paesistico, sono sanabili solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:

a) si tratti di opere realizzate prima dell’imposizione del vincolo;

b) seppure realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio, le opere siano conformi alle prescrizioni urbanistiche;

c) si tratti di opere minori senza aumento di volume o superficie (restauro, risanamento conservativo, manutenzione straordinaria);

d) vi sia il previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo.

Orbene, nel caso di specie viene in rilievo un abuso edilizio che – come dichiarato dallo stesso ricorrente nell’istanza di sanatoria dell’-OMISSIS- – rientra nella tipologia abusiva n. 1; trattandosi di “un fabbricato con solo piano terra, adibito a civile abitazione, composto da tre ambienti, completamente ultimato compreso impianto idraulico ed elettrico” esso va qualificato come “abuso maggiore” essendo una nuova costruzione.

Inoltre, risulta per tabulas che l’abuso in questione è stato realizzato su una zona vincolata.

Ne discende che tale abuso - proprio perché “maggiore” ed incidente su area vincolata - non può essere condonato in ossequio al costante insegnamento giurisprudenziale sopra richiamato, con conseguente piena legittimità del provvedimento di diniego impugnato.

4.2 - Né può essere accolta la censura in merito ad un presunto difetto di motivazione del diniego di sanatoria impugnato, atteso che il provvedimento in questione ha carattere vincolato, essendo ancorato a due specifici presupposti, ovverosia l’esistenza del vincolo paesaggistico e l’incremento di superficie o volumetria. Orbene, il provvedimento impugnato dà puntualmente conto di tali presupposti, con ciò assolvendo in pieno all’obbligo motivazionale sancito dall’art. 3 della L.241/1990.

Per tutto quanto sopra esposto il ricorso va respinto.

5 - Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore del Comune resistente che si liquidano in euro 2.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario ed accessori come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 6 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:

Davide Soricelli, Presidente

Roberto Maria Bucchi, Consigliere

Benedetta Bazuro, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Benedetta Bazuro Davide Soricelli





IL SEGRETARIO






< 12 >

Torna SU