Pubblicato il 15/03/2024
02563/2024REG.PROV.COLL.
06496/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6496 del 2021, proposto dalla signora Bruna Perdoni, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Perini e Marco Sgroi, con domicilio digitale presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia;
contro
il Comune di Morfasso, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Manfredi e Maria Grazia Picciano, con domicilio digitale presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia e con domicilio eletto presso lo studio del secondo dei suindicati difensori in Roma, via Ippolito Nievo, n. 61;
nei confronti
– dell’Unione montana Alta Valnure, in persona del rappresentante legale pro tempore, non costituita nel presente giudizio di appello;
– del signor Roberto Martini, rappresentato e difeso dall’avvocato Roberto Ollari, con domicilio digitale presso l’indirizzo PEC come da Registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, Sez. I, 20 aprile 2021 n. 101, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Morfasso e del signor Roberto Martini e i documenti prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie, anche di replica, con i documenti depositati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza dell’8 febbraio 2024 il Cons. Stefano Toschei e uditi, per le parti, gli avvocati Marco Sgroi, Giuseppe Manfredi e Roberto Ollari;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, Sez. I, 20 aprile 2021 n. 101 con la quale il predetto TAR ha respinto il ricorso (n. R.g. 87/2018) proposto, dalla signora Bruna Perdoni, al fine di ottenere l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria n. 1/2018 rilasciato dal Comune di Morfasso al signor Roberto Martini in data 18 gennaio 2018 (e di ogni altro atto implicito, presupposto, conseguente e connesso, ivi inclusa, per quanto occorrer possa, la comunicazione 6 settembre 2017, prot. 4239, dell’Unione montana Alta Val Nure).
2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:
– la signora Bruna Perdoni (unitamente ad altri fratelli e parenti residenti, come lei, negli Stati Uniti) è comproprietaria (fra altri immobili) di un edificio sito nel Comune di Morfasso (in provincia di Piacenza);
– riferisce l’odierna appellante che nel 2010, rientrando in Italia per il consueto periodo di vacanza, lei e i suoi parenti constatarono che i proprietari del terreno confinante, signori Roberto Martini e Giovanna Colla, avevano realizzato una nuova opera;
– dopo avere acquisito presso il comune la necessaria documentazione, si appurò che la nuova opera era stata realizzata in base ad una DIA (n. 3/2009 presentata il 14 gennaio 2009, prot. 207) seguita da una DIA in variante (presentata in data 1 settembre 2010 prot. 5088), conseguentemente venne presentato al Comune di Morfasso, in data 30 settembre 2010, un esposto con il quale si denunciava la non corretta individuazione del titolo edilizio, stante la natura e la consistenza delle opere realizzate con DIA (compendiandosi le stesse in una vera e propria nuova costruzione, capace di realizzare un volume urbanisticamente sensibile), oltre alla non conformità di tali opere rispetto alle normative disciplinanti le distanze tra edifici nonché a quelle volte alla tutela dell’igiene pubblica e della cura degli edifici;
– i signori Perdoni proponevano, quindi, ricorso dinanzi al TAR per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, che veniva accolto con sentenza n. 243/2016 nella quale: a) per un verso si accertava che il locale sottostante la balconata non era stato indicato nella DIA originaria; b) sotto altro profilo, si riteneva fondata la censura con la quale i ricorrenti avevano contestato la mancata effettuazione dei necessari controlli sulla DIA;
– riferisce l’appellante che, nonostante la pronuncia favorevole, nulla avvenne perché alla stessa fosse data ottemperanza, mentre il signor Roberto Martini presentava, in data 1 giugno 2017, una domanda di permesso di costruire in sanatoria;
– acquisito il parere favorevole della Commissione comunale per la qualità architettonica e per il paesaggio (in data 21 novembre 2017), in data 18 gennaio 2018 veniva rilasciato il permesso in sanatoria;
– detto provvedimento era impugnato dalla signora Perdoni dinanzi al TAR per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, perché ritenuto illegittimo. Nel corso del processo è stata disposta verificazione e all’esito dell’istruttoria il ricorso è stato respinto con la sentenza 20 aprile 2021 n. 101.
3. – Propone quindi appello la signora Bruna Perdoni, nei confronti della suddetta sentenza di primo grado n. 101/2021, prospettando sei complesse traiettorie contestative, che possono sintetizzarsi come segue:
I) Error sul fatto – Error in iudicando – Violazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 25 novembre 2002, n. 31 in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 21 ottobre 2004, n. 23, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 30 luglio 2013, n. 15, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di Morfasso, del PRG del Comune di Morfasso e del POC adottato dal Comune di Morfasso. Violazione di legge ed eccesso di potere per violazione ed elusione del giudicato – Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e ss. c.p.a. – Error in procedendoper difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d’istruttoria e illogicità. Un primo profilo di erroneità della sentenza qui oggetto di appello concerne la scelta, operata dal primo giudice, di ritenere irritualmente dedotta l’eccezione preliminare sollevata in primo grado di violazione di giudicato (riferita al provvedimento impugnato con riferimento alla precedente sentenza n. 243/2016), per non essere stata proposta con un’azione di ottemperanza. L’appellante ritiene che la proposizione dell’eccezione dovesse, al contrario, essere ritenuta ammissibile e fondata, dal momento che la sentenza del 2016 non poneva un obbligo puntuale all’amministrazione comunale per la sua esecuzione, di talché il comune avrebbe dovuto attivarsi per eseguirla correttamente, come però non è mai avvenuto. Inoltre il giudice di primo grado ha ritenuto il procedimento conclusosi con l’adozione del provvedimento abilitativo in sanatoria “completamente nuovo”, non avvedendosi che le fondamenta dell’istanza di rilascio del titolo in sanatoria andavano rinvenute proprio negli interventi edilizi realizzati con DIA e DIA in variante, ritenuti illegittimi dal TAR nella sentenza n. 243/2016;
II) Error sul fatto– Error in iudicando – Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla l. 9 agosto 2013, 98. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 7 agosto 1990, n. 241 e l.r. Emilia Romagna 6 settembre 1993, n. 32. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di Morfasso, del PRG del Comune di Morfasso e del POC adottato dal Comune di Morfasso. Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione – Violazione e falsa applicazione degli artt. 66 e 67 c.p.a. – Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d’istruttoria e illogicità. [Sul rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso concernente l’illegittimità dei provvedimenti impugnati perché basati sull’errato presupposto giuridico che l’opera sanata costituisca ristrutturazione edilizia” e sul difetto di istruttoria della pratica urbanistico- edilizia in ordine alle circostanze ed alle ragioni di fatto e di diritto che potessero condurre ad una soluzione corrispondente a quella già cassata dalla sent. TAR Parma n. n. 243/2016; sull’insufficienza sostanziale e formale della verificazione onde sostenere le conclusioni della sentenza appellata]. La sentenza qui oggetto di appello poggia, sotto il profilo tecnico, sugli esiti della verificazione disposta. Tali esiti sono stati puntualmente contestati nel corso del processo di primo grado ma il TAR ha ritenuto di poter superare le contestazioni con argomentazioni che non convincono l’odierna appellante, anche perché (si sostiene) il verificatore ha fondato la propria valutazione tecnica sulla perizia di parte presentata dal tecnico del controinteressato che, peraltro, è addirittura successiva all’epoca di rilascio del provvedimento edilizio in sanatoria oggetto di impugnazione, trascurando di considerare le controdeduzioni tecniche offerte dal perito della parte ricorrente. Va peraltro rimarcato, a confutare la legittimità della verificazione svolta in primo grado, che il verificatore ha illegittimamente compiuto una vera e propria integrazione dell’istruttoria procedimentale (peraltro, non adeguatamente) svolta dall’amministrazione, esperendo complesse attività tecniche evidentemente mancanti in sede di istruttoria comunale. Nello specifico l’appellante lamenta che: “il Verificatore non si è limitato a verificare se – poniamo – le argomentazioni addotte per sostenere che il preteso edificio preesistente avesse dimensioni maggiori di quello realizzato dal controinteressato fossero corrette e conformi ai principi e alle regole tecniche che le governano, ma tali argomentazioni le ha sviluppate direttamente ed ex novo egli stesso (sulla scorta, si direbbe, della perizia “postuma” dell’Arch. Orsi), perché nell’istruttoria comunale nessuno vi aveva provveduto, nessuno le aveva sviluppate: dunque non ha verificato, ma ha integrato. Tale integrazione – al netto della sua (contestata) utilizzabilità, in quanto postuma, onde legittimare il provvedimento impugnato – è evidentemente un’attività tipicamente peritale, e, dunque, andava svolta secondo i parametri formali delle CTU. In particolare, la relazione peritale finale avrebbe dovuto essere sottoposta ai CTP, questi avrebbero dovuto formulare eventuali osservazioni/obiezioni, sulle quali il Verificatore-CTU avrebbe dovuto esprimersi specificamente” (così, testualmente, a pag. 21 dell’atto di appello);
III) Error sul fatto – Error in iudicando – Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione della l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 241/1990 e l.r. Emilia Romagna 32/1993. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di Morfasso, del PRG del Comune di Morfasso e del POC adottato dal Comune di Morfasso. Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione – Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d’istruttoria e illogicità. [Sul rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso concernente l’illegittimità dei provvedimenti impugnati perché basati sull’errato presupposto giuridico che l’opera sanata costituisca ristrutturazione edilizia” e sul difetto di istruttoria della pratica urbanistico-edilizia “in ordine alle circostanze ed alle ragioni di fatto e di diritto che potessero condurre ad una soluzione corrispondente a quella già cassata dalla sent. TAR Parma n. 243/2016]. La signora Perdoni contesta, inoltre, l’ulteriore conclusione alla quale è giunto il verificatore, poi confermata dal giudice di primo grado, secondo cui il permesso di costruire per cui è causa sarebbe “legittimo in quanto la ricostruzione di che trattasi non integra la fattispecie della ricostruzione di ruderi (che va considerata, a tutti gli effetti, realizzazione di una nuova costruzione) atteso che, sebbene non sia stata determinata con precisione la consistenza della precedente costruzione è stato con sicurezza affermato da parte del Verificatore che la nuova costruzione è di molto inferiore rispetto al volume preesistente” (così, testualmente, a pag. 23 dell’atto di appello). Infatti, nella specie: a) il comune non ha accertato nulla di quanto sarebbe stato necessario per disporre la sanatoria, dal momento che (come si è sopra già sostenuto) l’accertamento dei presupposti per rilasciare il titolo in sanatoria è comunque successivo rispetto all’adozione del provvedimento, poiché detto accertamento è stato effettuato, del tutto impropriamente, dal verificatore; b) ad ogni modo la verificazione ha accertato, quanto al manufatto che si pretende essere preesistente, che “ciò che è di difficile individuazione è la sua esatta consistenza, sia per quanto riguarda le altezze, che la profondità sul lotto, non avendo a disposizioni elaborati grafici, planimetrie ecc.”, così dichiarandosi la totale assenza di elaborati grafici e planimetrie, oltre che di qualunque dato concernente la consistenza planivolumetrica del contestato manufatto diruto, nemmeno nella forma minimale; c) nulla è stato detto circa le contestazioni che la odierna appellante ha mosso sia nei confronti del rogito di acquisto Martini, sia alla utilità degli elementi indiziari considerati dal verificatore, tenuto anche conto che l’indicazione circa la presenza “due elementi in pietra sporgenti dalla muratura”, non può costituire un decisivo riscontro ai dubbi sulla preesistenza o meno di un manufatto preesistente che è stato recuperato; d) la totale ed assoluta carenza di riferimenti temporali, circa i quali la verificazione confessa senza ambiguità la propria impotenza, e ciò anche dopo il sopralluogo, riferendosi ad una “preesistenza che in data non definita è crollata”, costituiscono elementi che contribuiscono a rendere opaca la verificazione effettuata e soprattutto inidonea a dimostrare la sussistenza di un “antico manufatto” e quindi dei presupposti per il rilascio del provvedimento edilizio in sanatoria, non essendo dimostrato il principio di continuità temporale tra i manufatti, preesistente e successivamente realizzato; e) è infine contestabile l’assunto, fatto proprio dall’amministrazione e dal primo giudice secondo il quale, per aversi ristrutturazione edilizia mediante ricostruzione, sia sufficiente che il manufatto ristrutturato risulti di dimensioni inferiori rispetto a quello originario, crollato o demolito, oggetto di ristrutturazione/ricostruzione;
IV) Error sul fatto– Error in iudicando – Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione della l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 241/1990 e l.r. Emilia Romagna 32/1993. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di Morfasso, del PRG del Comune di Morfasso e del POC adottato dal Comune di Morfasso. Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione –Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d’istruttoria e illogicità. [Sul rigetto del secondo e terzo motivo di ricorso concernente l’illegittimità dei provvedimenti impugnati perché basati sull’errato presupposto giuridico che l’opera sanata costituisca ristrutturazione edilizia e sul difetto di istruttoria della pratica urbanistico-edilizia in ordine alle circostanze ed alle ragioni di fatto e di diritto che potessero condurre ad una soluzione corrispondente a quella già cassata dalla sentenza del TAR Emilia Romagna, sede staccata di Parma n. 243/2016; sulla ritenuta irrilevanza del dedotto difetto di istruttoria per il carattere vincolato del provvedimento impugnato]. Ad avviso dell’appellante la considerazione espressa dal giudice di prime cure affermando che “(…) nel presente caso, anche qualora vi fosse stato un difetto di istruttoria perché il Comune odierno resistente avrebbe emesso il permesso di costruire in sanatoria in assenza di un completo esame, tale difetto sarebbe irrilevante atteso che il Verificatore ha dato atto della circostanza che, con riferimento al deposito realizzato dal controinteressato, vi era un immobile preesistente e lo stesso era di volume superiore all’attuale e, dunque, tali circostanze fattuali, per le ragioni sopra esplicate, consentono di ritenere l’intervento svolto nel caso de quo come ristrutturazione edilizia e conseguentemente il provvedimento comunale impugnato risulta legittimo perché lo stesso, vista la situazione fattuale, non avrebbe potuto essere diverso (…)” non è affatto condivisibile, non potendo l’intervento del verificatore sopperire alle carenze manifestatesi nel corso del procedimento che ha condotto all’adozione del provvedimento in sanatoria principalmente impugnato in primo grado né essendo emersi elementi nuovi e ulteriori rispetto alla situazione edilizia del 2009, radicata nella DIA nella DIA in variante, titoli che già il giudice amministrativo aveva ritenuto, con la sentenza del 2016, essere illegittimi;
V) Error sul fatto – Error in iudicando – Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione della l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 241/1990 e l.r. Emilia Romagna 32/1993. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di Morfasso, del PRG del Comune di Morfasso e del POC adottato dal Comune di Morfasso. Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione – Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d’istruttoria e illogicità. [Sul rigetto del quarto motivo di ricorso, concernente l’eventuale configurazione del provvedimento impugnato quale permesso di costruire per nuova costruzione]. Se, poi, il provvedimento impugnato in primo grado volesse qualificarsi quale autonomo e nuovo permesso di costruire per realizzare una nuova costruzione, esso sarebbe comunque illegittimo per le ragioni tutte svolte nel quinto motivo di ricorso dedotto;
VI) Error sul fatto – Error in iudicando – Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 10 e 22 d.P.R. 380/2001; violazione e falsa applicazione della l.r. Emilia Romagna 31/2002, in quanto tuttora vigente; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 23/2004, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.; violazione e falsa applicazione l.r. Emilia Romagna 15/2013, con particolare ma non esclusivo riferimento agli artt. 9 e ss.. Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. 69/2013, convertito dalla l. 98/2013. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 e ss. l. 241/1990 e l.r. Emilia Romagna 32/1993. Violazione e falsa applicazione del Regolamento edilizio del Comune di Morfasso, del PRG del Comune di Morfasso e del POC adottato dal Comune di Morfasso. Violazione di legge ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e per difetto di motivazione – Error in procedendo per difetto di motivazione, contraddittorietà, carenza d’istruttoria e illogicità. [Sul rigetto del quinto motivo di ricorso concernente il vincolo idrogeologico]. Il giudice di primo grado ha ritenuto di respingere il quinto motivo di ricorso affermando (testualmente) che “il Comune di Morfasso ha rivisto il proprio P.R.G. tramite una variante ordinaria approvata con la deliberazione G.P. n. 677/2008, ossia svariati anni dopo la Legge regionale n. 3/1999 e la Delibera di Giunta Regionale 1117/2000”. Sostiene l’appellante che, però, non vi sia stata alcuna reale variante predisposta e approvata su iniziativa del Comune di Morfasso, essendosi trattato di un mero restyling dei relativi atti collegata ad una operazione di digitalizzazione delle tavole di piano e ad una parziale modifica delle NTA. Dovendosi dunque ritenere che non vi sia stata la richiamata variante generale di piano, va ribadito come non sussistessero nella specie le condizioni previste dalla legge per esonerare la pratica edilizia per cui è causa dalla procedura di autorizzazione in sanatoria quanto al vincolo idrogeologico.
4. – Si è costituito anche nella presente sede di appello il Comune di Morfasso che ha contestato analiticamente le avverse prospettazioni, confermando la legittimità del provvedimento comunale impugnato e chiedendo la reiezione del ricorso stante la correttezza del percorso logico giuridico sviluppato dal giudice di primo grado per come emerge dalla sentenza qui oggetto di appello.
5. – Si è altresì costituito in grado di appello il controinteressato signor Roberto Martini, proponendo nuovamente le eccezioni già sollevate in primo grado e aventi ad oggetto l’asserita irricevibilità del ricorso, considerato quale strumento di proposizione di una azione di ottemperanza e comunque l’insussistenza dell’interesse a ricorrere in capo alla odierna parte appellante che non avrebbe comprovato il pregiudizio subito dall’atto impugnato, non essendo sufficiente a tal fine il mero elemento della vicinitas.
Nel merito anche il signor Martini ha ribadito la correttezza della sentenza di primo grado qui oggetto di appello e la legittimità della procedura svolta per addivenire all’adozione del titolo edilizio contestato.
Nel corso del processo di appello (al quale non ha partecipato l’Unione montana Alta Valnure, sebbene correttamente coinvolta in giudizio) le parti costituite hanno depositato memorie, anche di replica, con documenti, confermando le conclusioni dalle stesse già rassegnate nei precedenti atti processuali.
6. – Il Collegio ritiene che, ai fini della definizione del presente contenzioso in grado di appello, occorra brevemente ripercorrere – in chiave dinamica – la sequenza delle vicende che hanno condotto all’adozione del permesso di costruire in sanatoria impugnato principalmente in primo grado.
Nel 2009, dopo avere acquistato nel 1998 l’immobile sul quale sono state poi effettuate le opere qui oggetto di contestazione, il signor Roberto Martini presentava una DIA (n. 3/2009) al fine di realizzare un terrazzo/balconata in continuità con quanto già esisteva e successivamente, nel corso di detti lavori, presentava una DIA in variante (prot. 5088 del settembre 2010), per realizzare “una scala di collegamento tra il portico oggetto di richiesta ed il vano sottostante nonché il tamponamento di tale locale”.
I due titoli edilizi venivano dichiarati illegittimi dal TAR per l’Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, con la sentenza n. 243/2016 nella quale, per quanto può essere qui di rilievo, era indicato che:
– la DIA originariamente presentata si riferiva alla realizzazione di una balconata mentre la DIA in variante successivamente intervenuta prevede la creazione di una scala di collegamento tra il terrazzo e un “locale sottostante” non precedentemente assentito e ab origine inesistente come fotograficamente documentato;
– l’inesistenza del locale sottostante la balconata oggetto della DIA n. 3/2009 emerge dal mero confronto degli elaborati grafici allegati ai due titoli edilizi, poiché nell’elaborato allegato alla DIA in variante si evidenzia l’esistenza di un locale posto in posizione sottostante alla balconata già oggetto della DIA originaria delimitato da opere in muratura nelle quali sono ricavate una porta finestra visibile nel prospetto ovest e due finestre visibili nel prospetto sud;
– le suddette aperture (che palesano inequivocabilmente la realizzazione di un locale avente pianta corrispondente alla proiezione al suolo della balconata) non figurano invece negli elaborati grafici allegati alla DIA originaria che sono redatti in modo equivoco senza palesare l’esistenza di alcuna opera di delimitazione (muri) dell’area sottostante alla balconata: ragione per la quale l’esistenza di detto “locale sottostante” non può considerarsi come accertata (nei sensi di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001).
7. – Il signor Martini non impugnava la surrichiamata sentenza, scegliendo una diversa “via amministrativa” che gli consentisse di sanare l’intervento edilizio realizzato, ormai privo di titolo edilizio che lo supportasse legittimamente. Sicché (come risulta dalla documentazione prodotta nel primo grado di giudizio) il signor Roberto Martini presentava al Comune di Morfasso, in data 1 giugno 2017, prot. 1726, una domanda di accertamento di conformità, ai sensi dell’art. 17, comma 1, l.r. Emilia Romagna 23/2004, delle opere realizzate in data 16 gennaio 2009, coincidenti con quelle oggetto della DIA e della DIA in variante non più efficaci dopo la sentenza del TAR Emilia Romagna, sezione staccata di Parma, n. 243/2016 e sul presupposto che le opere riguardassero un fabbricato preesistente, crollato da diverso tempo e di cui veniva comprovata esistenza e consistenza con taluni documenti. Il Comune di Morfasso, all’esito della relativa istruttoria (nel corso della quale gli uffici richiedevano all’interessato integrazioni documentali e la commissione per la qualità architettonica e il paesaggio esprimeva parere favorevole, in data 21 novembre 2017, circa il “ripristino tipologico per recupero di locale deposito e terrazzo”), rilasciava il permesso di costruire in sanatoria n. 1/2018 del 18 gennaio 2018 “per l’esecuzione dei lavori di ripristino per recupero di locale deposito e terrazzo”, nel quale era ricostruita la “storia” dell’immobile oggetto di sanatoria, anche in virtù di dichiarazioni circa la preesistenza e l’epoca di realizzazione del manufatto parzialmente diruto e oggetto di ricostruzione, oltre a darsi atto della doppia conformità.
A tal proposito, in particolare e per quanto è qui di stretto interesse, nel rilasciare il provvedimento edilizio adottato in sanatoria (n. 1/2018 del 18 gennaio 2018) “per l’esecuzione dei lavori di ripristino per recupero di locale deposito e terrazzo”, il Comune di Morfasso dava espressamente atto che:
– dalla visura catastale storica risultava che l’immobile era accatastato, fino all’anno 2010, come fabbricato rurale;
– dalla mappa catastale storica fornita dall’Archivio Cartografico di Piacenza, risultava che il fabbricato oggetto di sanatoria era preesistente;
– la ricostruzione di fabbricati interamente crollati o ridotti a rudere è equiparata, dalla vigente normativa in materia, alla ristrutturazione edilizia;
– con la comunicazione dell’Unione montana Alta Val Nure, competente in materia di vincolo idrogeologico, rilasciata in data 6 settembre 2017 al prot. n. 4239, si attestava che, relativamente al medesimo vincolo, i lavori di cui trattasi non abbisognano di alcuna procedura di “Richiesta di autorizzazione in sanatoria”;
– era stato espresso il parere favorevole della Commissione per la qualità architettonica e per il paesaggio nella seduta del 21 novembre 2017 (verbale n. 3).
8. – Proposto ricorso avverso tale provvedimento da parte della signora Bruna Perdoni, il giudice di primo grado, nel corso del processo, riteneva indispensabile disporre verificazione con ordinanza 13 febbraio 2020 n. 38. Con detta ordinanza il TAR:
– premesso che la ricorrente ha dedotto, “l’illegittimità del permesso di costruire in sanatoria impugnato, rilevando, tra l’altro, che l’intervento realizzato non costituirebbe ristrutturazione edilizia, in quanto gli interessati non avrebbero dimostrato l’esatta consistenza dell’immobile preesistente del quale hanno chiesto la ricostruzione, non risultando sufficiente, secondo la tesi della ricorrente, la sola prova che un immobile in parte poi crollato o demolito fosse stato un tempo genericamente esistente”;
– ritenuto che fosse necessario “approfondire l’aspetto tecnico della previa esistenza del manufatto che si assume diruto, nel senso di individuare se sussistano elementi oggettivi che permettano di identificare con la necessaria precisione e intuitività caratteristiche planivolumetriche, dimensioni o sagoma dell’opera”;
– disponeva verificazione, affidandola al responsabile del Servizio controllo abusi edilizi del Comune di Parma, al fine di appurare “se gli elementi raccolti nel corso dell’istruttoria procedimentale svolta dal Comune resistente fossero oggettivamente idonei ad accertare la preesistente consistenza dell’edificio crollato/demolito, conformemente a quanto disposto dall’art. 3 comma 1 lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001”.
Nella relazione di verificazione, depositata nel fascicolo del giudizio di primo grado in data 22 settembre 2020, si legge in particolare che:
– viene data “per documentalmente certa l’esistenza di un manufatto, che in data non definita è crollato”, specificando inoltre come “ciò che è di difficile individuazione è la sua esatta consistenza, sia per quanto riguarda le altezze, che la profondità sul lotto, non avendo a disposizioni elaborati grafici, planimetrie ecc.”;
– il quadro di incertezza può essere superato attraverso l’utilizzo “della documentazione fotografica prodotta prima dei lavori”, dalla cui analisi “si può supporre effettivamente che il manufatto crollato arrivasse in altezza là dove è presente il dente di pietre che fuoriesce dal muro di confine lato nord, unitamente allo spezzone di muratura lato sud, pertanto quanto realizzato risulta posizionato ad una quota decisamente molto inferiore rispetto alle preesistenze in loco”;
– all’esito del sopralluogo, svoltosi alla presenza dei tecnici di parte, tenuto conto delle rappresentazioni fotografiche dello stato dell’immobile, può ritenersi acclarato che quanto realizzato sia una minima parte di quanto precedentemente esistente e sia supportato dagli strumenti urbanistici che ne prevedono il ripristino tipologico. In particolare, la constatazione circa l’esistenza di due elementi, “quello di pietra che fuoriesce dal muro di confine lato nord, unitamente allo spezzone di muratura posto a lato sud, porta a confermare la presenza, nel passato, di un manufatto crollato la cui sommità era superiore rispetto a quella del manufatto oggetto della verificazione”;
– l’individuazione nella proprietà Perdoni, posta in adiacenza alla proprietà Martini, di un’apertura tamponata che verosimilmente consentiva l’accesso alla precedente struttura demolita e di un condotto di scarico in pietra, ha condotto a supporre che “il camino in questione fosse in precedenza una porta che conduceva ad un altro vano. Tale porta è stata successivamente tamponata con materiale non originale (mattoni al posto della pietra, quest’ultima utilizzata per la costruzione dell’intero edificio). Gli stessi mattoni sono stati verosimilmente utilizzati per tamponare la citata condotta di scarico del camino. Queste due preesistenze (i due denti di pietra e la porta tamponata per ricavare un camino), unitamente alle fotografie scattate prima dei lavori da parte del signor Martini danno la certezza di una preesistenza ad oggi crollata”.
9. – Tenuto conto di quanto sopra e ritenendo di poter superare le eccezioni preliminari sollevate anche nella sede di appello dal controinteressato stante la infondatezza dei motivi di appello dedotti, il Collegio ritiene che il mezzo di gravame proposto vada respinto per quanto qui appresso verrà illustrato.
In primo luogo non si ravvede alcun contrasto tra il contenuto del provvedimento di accertamento di conformità edilizia n. 1/2018 e il decisum di cui alla sentenza n. 243/2016 pronunciata dal TAR Emilia Romagna, sezione staccata di Parma.
Come si è già più sopra sottolineato il surrichiamato precedente giudiziale presenta un oggetto non compatibile con quello sottoposto all’esame degli uffici comunali con l’istanza presentata dal signor Martini al fine di richiedere il rilascio del permesso di costruire in sanatoria delle opere edilizie. Se è indubitabilmente vero che dette opere coincidono con quelle fatte oggetto di DIA e di DIA in variante, titoli edilizi entrambi annullati con la sentenza n. 243/2016, è altrettanto vero che da detto pronunciamento giudiziale non scaturisce alcun divieto a carico del signor Martini di utilizzare gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione dei proprietari degli immobili laddove intendano, nella sussistenza dei relativi presupposti, sanare opere edilizie abusivamente realizzate.
Ma in disparte quanto sopra va anche rilevato come non emerga, dalla motivazione della richiamata sentenza n. 243/2016, alcun vincolo specifico in capo all’amministrazione comunale soccombente in quel giudizio che indirizzi un futuro esercizio del potere amministrativo in materia edilizia con riferimento alle opere realizzate abusivamente sull’immobile in questione.
Ne consegue che il signor Martini, presentando la domanda di permesso di costruire in sanatoria in data 1 giugno 2017 (prot. n. 1726), ha chiesto agli uffici comunali una nuova (e mai fino a quel momento richiesta) determinazione in merito alla sanabilità o meno delle opere edilizie realizzate, di talché agli uffici competenti, come poi hanno effettivamente fatto, è stato chiesto di istruire un nuovo (e autonomo) procedimento di sanatoria delle opere abusivamente realizzate, del tutto scisso e non sovrapponibile con la vicenda edilizia scrutinata dal TAR Emilia Romagna, sezione staccata di Parma e definita con la sentenza 243/2016.
Deriva da quanto sopra che l’assunto fatto proprio dalla odierna appellante circa il contrasto tra il provvedimento impugnato e le indicazioni sollecitate dal giudice amministrativo con la sentenza n. 243/2016 non può trovare condivisione.
10. – Quanto al secondo ordine di contestazioni espresse nel presente grado di appello preme, in via preliminare, chiarire quale sia la disciplina dello strumento istruttorio della verificazione e quali siano i profili che ne caratterizzano il presupposto per disporla e le regole di esercizio.
Come è noto (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. III, 25 luglio 2023 n. 7288), la differenza tra la consulenza tecnica d’ufficio e la verificazione viene solitamente declinata nel senso che la prima (art. 67 c.p.a.) si estrinseca in una valutazione alla stregua della discrezionalità tecnica, in cui il consulente non si limita cioè ad un’attività meramente ricognitiva e circoscritta ad un elemento o fatto specifico ma, utilizzando le proprie specifiche cognizioni tecniche, prende in carico situazioni ed oggetti complessi al fine di elaborare un proprio giudizio, e di conseguenza a rispondere al quesito ritenuto dal giudice utile ai fini del decidere con una soluzione tecnicamente idonea alla stregua di un “giudizio di valore”; mentre la verificazione (art. 66, cod. proc. amm.) è diretta ad appurare la realtà oggettiva delle cose, e si risolve essenzialmente in un accertamento diretto ad individuare la sussistenza di determinati elementi, ovvero a conseguire la conoscenza dei fatti, la cui esistenza non sia accertabile o desumibile con certezza dalle risultanze documentali, e si estrinseca quindi in un “giudizio di risultato” rispetto al quale il contraddittorio concerne esclusivamente gli sviluppi e le risultanze della verificazione. In buona sostanza, la verificazione comporta l’intervento, in funzione consultiva del giudice, di un organismo qualificato per la risoluzione di controversie che implichino l’apporto di competenze tecniche essenziali ai fini della definizione della questione; ha una finalità di accertamento, ma pur sempre di fatti complessi, e dunque sulla base di competenze che implicano l’espressione di un sapere specifico, “in funzione consultiva del giudice” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, n. 330/2020).
La giurisprudenza, in materia di verificazione, ha poi frequentemente osservato (cfr., ad esempio, Cons. Stato, VI, 9 dicembre 2022 n. 10790) che:
– una volta che il Collegio ha ritenuto che le questioni sottese alla controversia hanno un carattere talmente tecnico da esulare dalla propria competenza e da richiedere l’intervento di un soggetto dotato di tali specifiche competenze, le conclusioni alle quali questi è pervenuto potranno dallo stesso Collegio essere superate solo a fronte di una manifesta erroneità, ictu oculi ravvisabile (cfr., nello specifico, Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022 n. 65);
– nel processo amministrativo la verificazione, pur dovendo correttamente prendere in esame anche le controdeduzioni dei consulenti delle parti, ben può divergere da esse, trattandosi di un atto istruttorio il cui esito, se condiviso dal giudice nell’esercizio del suo potere di apprezzamento, non può essere posto in discussione dalle consulenze di parte già proposte ed esaminate nel corso del procedimento conclusosi con la relazione del verificatore (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. V, 20 ottobre 2023 n. 9117).
Va poi ulteriormente ricordato che, in sede di verificazione, quanto alle garanzie di difesa delle parti, nel silenzio dell’art. 66 c.p.a., che, a differenza dell’art. 67 relativo alla C.T.U., non prevede espressamente la facoltà di nomina di consulenti di parte, la partecipazione non risulta preclusa a mezzo dell’assistenza da parte di un perito di fiducia, anche ove nulla disponga in merito l’ordinanza istruttoria (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 4 maggio 2016 n. 1757 e Sez. IV, 11 marzo 2013 n. 1464). Inoltre il contraddittorio processuale è assicurato dall’ordinamento dalla possibilità per le parti di prendere posizione sulla relazione di verificazione, mediante il deposito di apposita memoria difensiva, con cui formulare le pertinenti osservazioni (Cons. Stato, Sez. III, 26 gennaio 2021 n. 771).
Nel caso di specie l’ordinanza del TAR che ha disposto, nel corso del processo di primo grado, la verificazione, non ha puntualizzato che essa dovesse avvenire nel necessario contraddittorio delle parti e la scelta di un siffatto metodo di svolgimento dello strumento istruttorio spetta all’esercizio della potestà discrezionale del giudice nel giovarsi dell’ausilio di un tecnico verificatore. Nondimeno, nella specie, una parte dell’attività svolta in sede di verificazione, segnatamente il sopralluogo, è avvenuta alla presenza di tecnici di parte che non solo hanno avuto modo di esprimersi, ma le cui indicazioni sono state fatte oggetto di considerazione da parte del verificatore, che le ha anche in parte riportate nella relazione conclusiva. A ciò si aggiunga che le parti hanno avuto modo di prendere posizione, anche sotto il profilo tecnico, in merito alle conclusioni raggiunte dal verificatore ed esplicitate nella relazione conclusiva depositata, attraverso memorie e deposito di relazioni tecniche e che tali strumenti di esercizio del diritto di difesa sono stati ampiamente replicati in sede di appello.
11. – Con il terzo ordine di contestazioni proposte nella sede di appello la signora Perdoni manifesta di non condividere affatto, nei contenuti di merito, le conclusioni alle quali è giunto il verificatore e fatte proprie dal giudice di primo grado, con particolare riferimento alla preesistenza di un manufatto andato parzialmente diruto e ricostruito con le opere rispetto alle quali si è ottenuta (illegittimamente sostiene l’appellante) la sanatoria attraverso un (contestato quanto a qualificazione giuridica) intervento di ristrutturazione e non di realizzazione ex novo di dette opere.
Sul punto va detto che la contestazione mossa alle conclusioni alle quali è giunto il verificatore si pongono nell’ambito della opinabilità non essendo stata presentata, ad avviso del Collegio, una prova tecnica in grado di dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le opere abusive non abbiano preso il posto di un preesistente manufatto (e che quindi siano state realizzate ex novo).
Ne deriva che la censura dedotta come terza in sede di appello non può trovare condivisione in quanto l’intervento edilizio oggetto del provvedimento assunto in sanatoria costituisce, per quanto emerge dall’esito della verificazione, un’attività di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 6 giugno 2021, n. 380, a mente del quale, come è noto, “nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.
Quanto alla consistenza planovolumetrica e alla relazione tra l’edificio preesistente crollato e quello ricostruito si è indubbiamente raggiunta, all’esito della verificazione, la dimostrazione che l’intervento di ricostruzione è caratterizzato per misure e ampiezza e, quindi, per consistenza da un’opera caratterizzata da un impatto inferiore rispetto al manufatto preesistente, situazione che coincide con la previsione normativa appena riprodotta che coincide con la qualificazione della ristrutturazione edilizia.
12. – Neppure il quarto motivo di appello è destinato a poter trovare accoglimento.
La contestazione circa l’incompletezza dell’istruttoria svolta dagli uffici per giungere all’adozione del provvedimento di accertamento di conformità principalmente impugnato in primo grado poggia sulla considerazione, espressa dalla odierna appellante, della utilizzazione nel corso di tale ultimo procedimento degli stessi elementi documentali che già avevano fatto oggetto della DIA e della DIA in variante dichiarate illegittime con la sentenza n. 243/2016.
Tale ricostruzione della vicenda, però, non tiene conto che il nuovo procedimento, attivato dal signor Martini con la presentazione della domanda di permesso di costruire in sanatoria effettuata in data 1 giugno 2017, costituisce un fatto (amministrativo) nuovo rispetto alle due procedure di DIA sopra ricordate, nel corso del quale sono stati prodotti documenti nuovi, anche solo perché gli uffici comunali ebbero a chiedere all’interessato e ad ottenere da questi una integrazione documentale nel corso del procedimento che ha, evidentemente, condotto all’acquisizione di elementi mai prima resi disponibili rispetto a quanto era stato prodotto insieme con la DIA e con la DIA in variante, delle quali si è detto.
Né la parte appellante (neppure) chiarisce quali siano i documenti che il signor Martini avrebbe dovuto produrre e che non ha depositato al fine di rappresentare la novità del procedimento che ha condotto al rilascio del procedimento in sanatoria rispetto all’epoca della presentazione della DIA e della DIA in variante, se non facendo riferimento ad una supposizione di indebito intervento istruttorio postumo costituito dalle risultanze della verificazione che non potrebbero tornare utili al signor Martini per dimostrare la legittimità del provvedimento di sanatoria sotto il profilo della carenza istruttoria.
E’ evidente che gli esiti della verificazione hanno avuto il pregio di dimostrare “nei fatti” la sussistenza dei presupposti per il rilascio del provvedimento di costruire in sanatoria la cui legittimità viene qui contestata dalla signora Perdoni, di talché in ogni modo, soprattutto sotto il profilo sostanziale, il rilascio di detto provvedimento deve andare esente da censure, se non puramente formali e irrilevanti, finendo con l’impingere sul terreno della mera irregolarità procedurale.
L’infondatezza del quarto motivo di appello travolge anche il quinto e successivo motivo essendo quest’ultimo strettamente contiguo (se non addirittura sovrapponibile) con il precedente.
13. – Quanto al sesto ed ultimo motivo di appello, ad avviso del Collegio, la parte appellante non produce elementi nuovi e utili per contestare la ricostruzione fatta propria dal giudice di primo grado degli elementi giuridici al cospetto dei quali l’autorizzazione idrogeologica non atteneva al rilascio del provvedimento di costruire in sanatoria per un’opera costituente ristrutturazione edilizia.
Infatti, come è ormai noto alle parti, avendo le stesse ampiamente dibattuto sull’argomento nel corso del primo grado di giudizio, è avvenuto che:
– in primo luogo il Comune di Morfasso ha approvato una variante ordinaria al proprio Piano regolatore generale (con deliberazione G.P. n. 677/2008) in epoca (dunque) di molto successiva rispetto all’entrata in vigore della l.r. Emilia Romagna n. 3/1999 e anche rispetto alla data di adozione della delibera della Giunta Regionale n. 1117/2000 dell’11 luglio 2000 che costituirebbero le fonti impositive dell’obbligo di acquisire l’autorizzazione in questione anche per interventi edilizi quale è quello qui in esame;
– infatti l’art. 2.8.2 della DGR 1117/2000 stabilisce che “Fino alla approvazione dei PSC, dei POC e dei RUE i Comuni danno attuazione ai vigenti PRG e possono approvare varianti degli stessi, nell’ambito di quanto stabilito dall’art. 41 della L.R. n. 20/2000” e che a seguito della modifica del quadro normativo in materia urbanistica introdotto con la l.r. Emilia Romagna 24 marzo 2000, n. 20, in luogo di PRG dovranno intendersi il Piano strutturale comunale (PSC) il Piano operativo comunale (POC) ed il Regolamento urbanistico ed edilizio (RUE);
– da ciò discende che il Comune di Morfasso, tenuto conto anche di quanto dispone l’art. 150, comma 6, l.r. Emilia Romagna 3/1999 e cioè che “Il Comune può adeguare il PRG vigente alle previsioni di cui al comma 5 attraverso apposita variante, adottata ai sensi dei commi 4 e 5 dell’art. 15 della L.R. n. 47 del 1978”, ha escluso espressamente, per le opere quale è quella di cui qui si discute, la necessità di qualsivoglia preventiva autorizzazione o comunicazione ai fini della tutela idrogeologica.
D’altronde la supposizione adombrata dalla parte appellante circa un intervento limitato alla operazione di digitalizzazione delle tavole non si presenta in linea con il contenuto della ridetta variante e non è dunque idoneo ad escludere la portata innovativo-integrativa degli interventi novellatori sopra richiamati.
Ne consegue l’infondatezza anche del sesto motivo di appello.
14. – In ragione di quanto si è sopra illustrato il ricorso in appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Le spese del grado di appello seguono la soccombenza, in virtù del principio di cui all’art. 91 c.p.a., per come richiamato espressamente dall’art. 26, comma 1, c.p.a., sicché la signora Bruna Perdoni deve essere condannata a rifondere le spese della presente lite in favore del Comune di Morfasso e del signor Roberto Martini, che possono complessivamente liquidarsi nella misura di € 6.000,00 (euro seimila/00), suddivisi in € 3.000,00 (euro tremila/00) per ciascuna delle due parti suddette, oltre accessori come per legge. Le spese possono poi essere compensate con riferimento all’Unione montana Alta Valnure.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 6496/2021), come indicato in epigrafe, lo respinge.
Condanna la signora Bruna Perdoni a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di Morfasso, in persona del Sindaco pro tempore e del signor Roberto Martini, liquidandole complessivamente nella misura di € 6.000,00 (euro seimila/00), suddivisi in € 3.000,00 (euro tremila/00) per ciascuna delle due parti suddette, oltre accessori come per legge.
Spese compensate con riferimento alla restante parte evocata in giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2024 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Giordano Lamberti, Consigliere
Stefano Toschei, Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro, Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere
IL SEGRETARIO
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